L'E.I.T.: ANALISI DI DUE CASI
Lucioni R. (pervenuto alla bma il 23-06-2001)
Si ringrazia l'autore per averci fornito questo materiale per
la pubblicazione
sommario:
- cos'è
l'E.I.T.
- il caso di Max
- la storia di Ivano
cos'è l'E.I.T.
[sommario]
Romeo Lucioni psichiatra e psicoterapeuta ha ideato l'E.I.T. -
terapia di integrazione emotivo-affettiva - strutturandola come
tecnica psico-terapeutica basata sui fondamenti della psicodinamica
e della psicoanalisi, utilizzando anche le basi teorico-pratiche
dello psicodramma (Moreno), della psicodanza (Rojas Bermudez), dell'eutonia,
della terapia senso-motoria e del Tai-chi-chuan.
Il paradigma dell'E.I.T. consiste nel compattare e ristrutturare
le funzioni emotive, affettive e cognitive che sono la base del
funzionamento adattivo-volitivo dell' IO.
Ricostruire il senso di sé, l'autovalorizzazione e l'autosoddisfazione
significa produrre un cambiamento della visione del Sé di
fronte a se stesso, alla famiglia ed al mondo e permettere di costruire
una metafora percettiva semplice, ma pregnante e significativa:
Un secondo gruppo di tecniche è invece finalizzato al decremento
dei comportamenti inadeguati, e si avvale del rinforzo differenziale
di altri comportamenti. Esso è composto da:
guardo il cielo per
leggervi sempre e ovunque
IO POSSO
L' E.I.T. permette di superare tentennamenti e blocchi psico-mentali
che si sono strutturati come reazioni "inevitabili"
a:
- frustrazioni
- colpevolizzazioni (depressione)
- ansie ingiustificate
- paura di sbagliare
- angoscia di fronte ai rifiuti
- sensi di inadeguatezza
- ricordi di traumi infantili
- sensazione di non poter controllare le proprie emozioni ed
i sentimenti più profondi.
L' E.I.T. è stata strutturata da Romeo Lucioni sulle basi
della TIMOLOGIA, scienza degli affetti, basata sugli studi sull'intelligenza
affettiva che organizza lo psichismo dell'uomo, controllando
ed amalgamando le funzione dell'intelligenza emotiva e quelle
dell'intelligenza cognitiva o razionalità.
Il mondo degli affetti è il mondo dei valori che, partendo
dal valore del sé come Io-ideale può strutturare il
valore dell'Altro , quindi, la valorizzazione dell'Altro come Altro
da salvare.
Questa visione poetica della vita diventa un fondamento vitalizzante
che stimola l'attenzione, la memoria, la motivazione, la volontà,
il desiderio ed il piacere.
In questo l' E.I.T. si legge come intervento globale e globalizzante
capace di:
- strutturare il senso di sé su basi di auto-valorizzazione
ed auto-soddisfazione;
- sviluppare l'intelligenza affettiva e l'Io-ideale;
- togliere le barriere che impediscono lo sviluppo
psico-mentale (affettivo e cognitivo);
- aprire le porte alle potenzialità cognitive;
- eliminare l'ansia ed il panico generati dalla consapevolezza
delle difficoltà concrete che devono essere affrontate;
- strutturare la volontà;
- programmare il proprio destino non come incombente
responsabilità, ma come felicità per aver raggiunto
i propri obiettivi e strutturato la personalità;
- creare nell'inconscio un modello che si fonda sulla
autocoscienza racchiusa nelle lettere scolpite nella mente: IO
POSSO.
Da questo si comprende come l' E.I.T. non sia solo una tecnica
psico-terapeutica, ma si trasformi in una scienza timologica ed
in una filisofia di vita fondata sull'amore verso sé, verso
gli altri, verso il mondo e l'universo che convivono in noi e danno
un senso e, quindi, valore, alle cose, agli atti, agli obiettivi,
alle fantasie ed ai desideri.
Il caso di Max
(Basso I., Lucioni R.)
[sommario]
Max è stato preso in carico dalle strutture medico-assistenziali
istituzionali già dai primi mesi di vita per "ritardo
psicomotorio grave" e per componenti psichiche che venivano
riferite come psicotiche e/o autistiche.
Il bambino ha ricevuto innumerevoli e continuativi interventi psico-riabilitativi
e molto completo è stato lo studio strumentale, clinico e
genetico per cercare di capire l'origine delle differenti disabilità.
Ai sette anni è stata fatta diagnisi di "sindrome polimalformativa
e secondaria strutturazione psicotica della personalità con
tratti autistici" e successivamente "esiti di encefalopatia
pre-perinatale con ritardo mentale grava, assenza di linguaggio,
strutturazione psicotica della personalità con tratti autistici".
Agli 11 anni viene inserito in Istituto dove vengono evidenziati:
- dismorfismi facciali;
- ugula bifida;
- cisti e fistola in regione sottoclaveare sinistra;
- clinodattilia del V° dito della mano destra;
- intervento di orchidopessi destra ai 9 anni;
- DIV perimembranoso sottoaortico che si è chiuso spontaneamente
ai 10 anni;
- ritardo staturo ponderale (ora pesa .... Kg e misura ..... cm);
- scoliosi T10-L4 sinistra di 19° - gibbo clinico di 6°
- Rissor 0.
accoglienza terapuetica
Quando incontriamo Max la prima volta nell'Istituto per disabili
gravi che hanno una lunga e dolorosa storia di "...impossibilità
di recupero", chiama l'attenzione il suo stare sdraiato su
di un grosso cuscino nel quale sta mollemente sprofondato.
Lo sguardo assente, quasi assorto; gli occhi socchiusi che quando
si aprono, fissano diritto; la mano sinistra infilata nei pantaloni
(la dottoressa internista che ci accompagna ci dice che non sa più
quale pomata usare per far sparire gli ematomi che si sono formati
sui genitali).
La forma del capo è un po' strana: appiattita sul dietro,
rotonda sul davanti con
- occhi un po' allungati, ovali, orientali;
- bocca piccola, atteggiata ad una specie di ghigno stereotipato.
La diagnosi fatta per Max è alquanto incerta poiché
l'autismo predominante si accompagna a evidenti segni di dismorfismo
cranio-facciale che riporta a qualche influenza genetica non chiaramente
definibile.
Quando non è sdraiato, il ragazzo di 16 anni si muove un
po' goffamente e pesantemente, incurvato, senza rispondere agli
stimoli, ma afferrando con due mani fortissime che, come tenaglie,
fanno male e i cui pizzicotti lasciano il segno: gli ematomi sulle
braccia delle sue due insegnanti lo dimostrano.
L'avvicinarsi a Max provoca una netta reazione di angoscia e, se
viene stimolato troppo, risponde piantandosi rigido sulle gambe,
mostrando le mani come "artigli" scossi da tremiti , il
tutto accompagnato da un "grugnito" che è un grido
soffocato e profondo.
Il tentativo riabilitativo affidato per molti anni alla TEACCH
non ha portato a riscontri soddisfacenti o, comunque, adeguati alle
risorse impegnate.
Nel dicembre 2000 si decide di iniziare la terapia di integrazione
emotivo-affettiva E.I.T. proprio per cercare di portare il giovane
a condizioni relazionali migliori e, soprattutto, al superamento
dell'usuale atteggiamento di rilassatezza, di autoerotismo e di
isolamento.
inizio della terapia
Max si dimostra oppositivo, reattivo e "pericoloso" per
i suoi micidiali pizzicotti. Goffo e lento nel muoversi, risulta
difficile fargli scendere e salire le scale (per raggiungere il
setting terapeutico bisogna percorrere tre rampe di venti scalini
ciascuna), anche se sostenuto.
Le sedute sono sempre state predisposte come bisettimanali e della
durata di un'ora. Smuoverlo dalla sedia e fargli togliere la mano
sinistra dai pantaloni risultavano movimenti difficili per le reazioni
oppositive, così come fargli fare qualche esercizio individualmente
o, ancor peggio, in gruppo.
Max non sopportava la vicinanza di compagni, dimostrava opposizione
al cambiamento di operatore, così si è deciso che
questo fosse sempre lo stesso: una donna che, riconosciuta, non
determinava opposizione al momento di prenderlo nella classe (dove
si trova regolarmente affondato nel suo cuscinone).
Durante il primo mese di terapia sono molto diminuite le opposizioni,
si cominciava a notare una mobilizzazione emotivo-affettiva, non
c'erano più le scene di grugniti e atteggiamenti "paurosi"
con artigli; la madre segnalava che questi cambiamenti erano evidenti
anche in casa.
Interrotta la terapia per 15 giorni perché il giovane ha
dovuto accompagnare la madre a Parigi, al ritorno si è ripreso
il lavoro senza difficoltà.
Con il passare del tempo la possibilità di operare con Max
per l'intera ora della seduta è veramente migliorata e si
è osservato:
- più scioltezza nel muoversi;
- più sicurezza nel camminare sulla barra di equilibrio;
- facilità a scendere e salire le scale con passo quasi sempre
alternato;
- abbandono dell'abitudine di tenere la mano sinistra nei pantaloni;
- scomparsa delle reazioni aggressivo-oppositive nel contatto interpersonale;
- migliore accettazione della vicinanza dei compagni;
- tenuta costante nei compiti (un'ora di lavoro);
- rinuncia agli afferramenti ed ai "pizzicotti";
- scomparsa del rifiuto a giocare alla palla con l'operatore;
ed inoltre:
- accettazione di guardarsi allo specchio
- comparsa di sorrisi in risposta a piccole gratificazioni;
- presenza di iniziative personali per scelte operative;
- possibilità di lavorare in piccoli gruppi e di cominciare
una attività pre-educativa (giocare al lego, con i cubi ad
incastro, con le palline da inserire nei loro fori);
- riconoscimento e ricordo dell'uso degli oggetti e/o strumenti;
- inizio del lavoro al semplice ordine verbale;
- possibilità di calciare la palla (è sempre un movimento
difficile da far eseguire).
osservazioni
- Max è mancino, ma questa disposizione riguarda
solo la gamba perché l'abitudine a trattenenre la mano
sinistra nei pantaloni lo ha portato ad usare la mano destra per
eseguire le attività, facendolo, però, in modo goffo
e poco preciso.
- Si sta cercando di portarlo ad usare la sinistra
almeno per aiutare l'altra mano negli esercizi che richiedono
una manipolazione complessa.
- Le maestre hanno accettato di imporre a Max di
non tenere più la mano nei pantaloni e ormai questa abitudine
è del tutto sradicata.
- Una mattina ha anche stupito tutti facendosi trovare
nella sala della terapia dopo che aveva osservato l'arrivo della
sua terapeuta (vi era giunto del tutto autonomamente) e cominciando
da solo a far volteggiare i cerchi come fa all'inizio della sua
terapia.
- Ora che la partecipazione alle attività
è più consistente si può evidenziare una
deambulazione un po' steppante determinata dal fatto che il passo
con la gamba destra è più lungo di quello con la
sinistra.
Il caso di Max ci impone alcuni interrogativi:
Si tratta di autismo?
L'osservazione ci porta a sottolineare:
- mancanza di crisi emotive intense (terrore) scatenate dalla presenza
e/o vicinanza di altre persone;
- non ci sono espressioni controfobiche (bacini "riparativi");
- non si osservano manierismi e comportamenti coatti se si eccettua
l'abitudine a tenere la mano sinistra nei pantaloni che, per altro,
è del tutto sparita dopo pochi mesi di terapia;
- la scelta libidico-autoerotica (palese) è abbastanza inedita
nell'autismo-autistico (Kanner) e, quindi, può essere riferita
a meccanismi non autistici.
Si può parlare di quadro di malattia a stampo genetico?
L'aspetto somatico non può essere riferito a nessun quadro
specifico conosciuto, ma la presenza di una madre vietnamita, che
apporta possibilità genetico-somatiche particolari, sostiene
l'idea di trasmissione di originali qualità somato-strutturali.
Queste difficilmente possono giustificare il marcato deficit dello
sviluppo psico-mentale che però può essere messo in
relazione con i diversi dismorfismi presenti.
Quale può essere la diagnosi?
Si potrebbe parlare di un quadro complesso nel quale evidenziare:
- espressioni somatiche caratteristiche con dismorfismi cranio-facciali;
- insufficiente sviluppo psico-mentale (senza arresto) con conseguenti
deficit funzionali della struttura di base dell'Io responsabili
di un'inadeguatezza affettiva (scarso senso di sé; riduzione
dell'attenzione; insufficiente struttura narcisistica) e di insufficienza
delle dinamiche cognitive;
- l'inapplicabilità di test adeguati rende più difficile
il chiarimento del livello di potenzialità delle attitudini
psico-cognitive ed adattive.
Da questo si evince un quadro che si distacca dall'autismo per
fare pensare con più chiarezza a "problematiche psico-strutturali
che supportano una alterazione dello sviluppo psico-mentale con
insufficienze cognitive accompagnate da deficit affettivi".
Quale può essere l'intervento terapeutico più
idoneo?
Sicuramente sembra valida la scelta di una psicoterapia a contenuto
relazionale per rafforzare le strutture adattive dell'Io che però
devono accompagnarsi ad interventi psico-educativi mirati e monitorati
costantemente per indirizzare ad obiettivi precisi e raggiungibili.
Le linee guida dell'intervento devono interessare:
- lo sviluppo della coordinazione motoria generale e fine;
- il ripristino delle funzioni emotivo-affettive centrate sia sul
sé che sulla relazione interpersonale;
- il controllo del livello di potenzialità cognitive per
programmare un lavoro di recupero sulle capacità attentive,
mnestiche, logico-deduttive, di orientamento spazio-temporale, di
operatività pratica centrata sulla autonomia;
- l'inserimento sociale supportato da un lavoro psico-terapeutico
di gruppo.
conclusioni
Il caso di Max è particolarmente doloroso se pensiamo a
tutte le risorse messe in atto durante tutta la sua vita per ottenere
pochi risultati per fargli vivere una esistenza soddisfacente e,
soprattutto, improntata all'attività ed alla socializzazione.
Un bambino che passa la maggior parte del suo tempo straiato su
un cuscino e in atteggiamento masturbatorio riempie di tristezza
anche se stimola sempre a cercare nuove vie per la riabilitazione.
Proprio per questo si è forse presa la determinazione di
iniziare una terapia nuova come può essere l'E.I.T. dimostrando
anche che non bisogna mai rinunciare ad affrontare la disabilità
e l'handicap.
Nei primi sei mesi di terapia E.I.T., si è potuto mettere
in evidenza un netto miglioramento in tutti gli items considerati
(vedere tabelle riassuntive di valutazione).
La situazione attuale fa pensare di poter continuare il lavoro
terapeutico e quello riabilitativo con buone possibilità
di rendere più valide e solide le strutture ioiche adattive
e, quindi, portare il giovane a strutturare un senso di sé
sufficiente a sostenere un modello narcisistico di autoriconoscimento,
un più valido funzionamento psico-cognitivo, una più
intensa austosddisfazione (che non è auto-erotismo) e, quindi,
una migliore qualità di vita familiare e sociale.
Questa è la strada per cercare di portare Max all'autonomia
personale, a raggiungere i prerequisiti necessari per l'apprendimento
e, soprattutto, ad attivare le dinamiche psicomentali necessarie
per rendere possibili la crescita affettivo-cognitiva e la socializzazione.
la storia di Ivano
(Lucioni R., Basso I., Reddavide L.)
[sommario]
Parlando di patologie delle strutture narcisistiche e, in special
modo di tossicodipendenza, Carlos David Pierini ricorda come ci
sia un campo poco transitato anche dalla psicoanalisi che si riferisce
alle STRUTTURE MITICHE che si collocano al di là dello sviluppo
libidinale.
Queste strutture, che sono del tutto inconsce, compromettono fortemente
il futuro dello sviluppo psico-mentale, così possono essere
individuate e/o analizzate anche nell'ambito dell'autismo.
A volte, lavorando con Ivano, sembra di trovare in lui un modello
quasi mitico dell'autismo (per altro come é stato Rodolfo
per la schizofrenia; Marco per la dimensione limite; Rossana per
la sindrome di Joubert; Andrea per l'X-fragile; Carlo per la cleptomania;
ecc.)0 e, pensando nel "superato-non superato", leggiamo
la traduzione degli effetti prodotti che sono la sua forma speciale
di parlare (dato che non ha linguaggio) che si evidenzia come atti,
atteggiamenti, comportamenti problema, isolamenti, ecc..
Questi non sono spiegabili, talora neppure comprensibili, ma incidono
profondamente nel suo "corpo" che risulta quasi fondamento
o giustificazione non di un atto libidinale e/o di desiderio, ma
di un riflesso condizionato, automatico, immodificabile, reiterativo
e ossessivo: il non superato prende corpo.
A) Il mito dell'oggetto perduto
Ivano dimostra una inesorabile, invincibile e insuperabile bisogno
di essere contenuto; cosa che presuppone stare "infilato"
in una sedia, trattenuto per entrambe le mani, appiccicato al corpo
del terapeuta.
Se non si verificano queste condizioni, scalcia, picchia, graffia,
sputa, strappa tutto (per es. gli occhiali o eventuali catenelle);
se ci si allontana si "muove" rapidamente per attaccare
gli oggetti o le persone circostanti; si placa solo se viene nuovamente
"afferrato".
Questo comportamento é l'esasperazione motoria del contenuto
mentale riscontrabile in tutti gli autistici: si proibiscono agire
, attuare, fare, parlare, ... pensare.
La possibilità di prendere una decisione e, quindi, di essere
attivi si struttura tra due istanze psichiche inconsce, l'Io e l'Oggetto
ed é controllata da due meccanismi psichici l'identificazione
ed il legame emotivo-affettivo con l'Altro.
L'Io, per Freud (1921), si struttura come sedimentazione degli
investimenti dismessi (derivati cioé da un complicato processo
che permette di passare dal desiderio illusorio di "assumere
l'identità dell'oggetto", al diventare oggetto o oggetto-sé)
e, pertanto, non si tratta di una vera struttura psichica, ma di
un "riflesso" fintanto che "nasce" un "nuovo
essere" che, spogliato dei fantasmi della "identificazione
primaria" , si trasforma in un "vero Io".
In altre parole, possiamo anche tradurre questi meccanismi in:
- identificazione primaria con un "Padre
immaginario", ancora indifferenziato che viene denominato
anche "padre-madre" (Freud), "doppio padre"
(Colette Chiland), "padre della preistoria" (Julia Kristeva),
"oggetto genitoriale" (R.Lucioni), "objeto coincidente"
(Ravscosky), "objeto coincidente de la alucinaciòn"
(D.Pierini).
- strutturazione del Nome del Padre che corrisponde
alla formazione di una autocoscienza o dell'ideale dell'Io.
Quando, per qualche motivo, si blocca lo sviluppo psico-affettivo,
l'Io si ferma in uno stadio di "semplice riflesso", cioé
ancorato alla identificazione primaria e, quindi, come dice David
Pierini per le patologie narcisistiche, "l'oggetto perduto
non é mai abbandonato; vive come doppio del soggetto...";
resta vivo all'interno dell'Io con un carattere "orrido"
o, stando alla definizione di Freud, "con una stigmate sinistra
che deriva dalle epoche primordiali dell'anima ...".
Il doppio diventa una figura terrorifica e persecutoria che accompagna
l'Io come ombra sovrastante e distruttiva, che ha i caratteri indiscutibili
di un Super-Io o di Altro Io, che può anche presentarsi in
forma multiple.
Se applichiamo queste osservazioni a quanto succede nell'autismo,
possiamo rivelare concretamente la presenza di queste tappe primitive
proprio perché l'autistico, forcluso del "Nome del Padre",
dimostra la sua sottomissione ad un Super-Io distruttivo e cannibalico
che gli impedisce di crescere, di raggiungere, attraverso lo sviluppo
psico-mentale, le dinamiche della formazione dell'Io-ideale, della
coscienza e dell'autocoscienza.
Qualcosa presente nel passato e che doveva essere superato, rimane
nel presente, vive nel nucleo dell'Io come sensazione di potere
onnipotente, capace di risolvere i desideri, ma che costringe all'isolamento,
all'autismo che così esibisce il cuore del problema o il
nucleo centrale di un destino di inesistenza: "... il soggetto
sparisce dietro l'oggetto" (Lacan).
Soggetto a queste dinamiche profonde, l'approccio con l'autismo
non può essere altro che quello terapeutico-psicoanalitico
che, però, non potendo utilizzare il transfert, che non c'é,
dovrà diventare il modo di vivere il soggetto per quello
che é, leggerlo attraverso le identificazioni fantasmatiche
e permettergli di assumere una "esistenza".
Non si tratta di "insegnare", di "educare",
ma di trasformare, riprendere la strada difficile della crescita,
riproporre le dinamiche della costituzione di quel "nuovo essere"
che si trasforma nel "Nome del Padre" e nella costituzione
dell'Io-ideale, attraverso il narcisismo secondario.
B) il mito dell'onnipotenza.
La chiusura su di sé, la strutturazione di modalità
motorie ripetitive, coatte e manieristiche, il comportamento provocatorio,
incontenibile ed automatico, rappresentano una dinamica che indichiamo
come onnipotente ed anche "che ha costituito una propria legge
fuori dalla legge".
Nell'autismo é inutile cercare un desiderio proprio perché
questo presuppone la presenza di una coscienza e di una autocoscienza
che, in questi soggetti non sono evidenziabili.
La percezione diventa catexia desiderativa, giustificata dal fatto
che la mancata costituzione degli oggetti porta alla necessità
di "pensare attraverso la percezione", ma questo pensare
costituisce fantasmaticamente un oggetto illusorio dentro di sé
o appartenente a sé.
Come abbiamo descritto in altri lavori, gli oggetti possono essere
abbandonati o buttati via perché svuotati di valore e sostituiti
da una "appropriazione" che signifia, appunto, onnipotenza
che preclude ogni possibilità di strutturare un "senso
della reciprocità".
L'onnipotenza é anche adesione simbiotica all'oggetto-padre-immaginario
che é di per sé un oggetto onnipotente dal quale si
può solo "essere contenuti", afferrati, "man-tenuti".
La perdita o il distacco da questo oggetto equivale a morire, dissolversi,
sparire e, quindi, crea angoscia: il terrore dell'autistico.
L'onnipotenza é sinonimo, quindi, di morte, di distruzione
e non di potere; il potere resta solo nell'Altro ed anzi viene continuamente
aumentato proprio grazie al sacrificio mitico del soggetto.
L'adesività e l'identificazione primaria bloccano lo sviluppo
e la nascita della coscienza; é il meccanismo per il quale
si ricerca continuamente l'oggetto perduto (onnipotenza) che così
non può mai morire; si precludono il desiderio, sostituito
da un anelo illusorio che può realizzarsi solamente attraverso
un meccanismo di idealizzazione dell'oggetto e di se stessi; l'oggetto
diventa l'Io e l'Io é l'oggetto: ancora una volta "...
il soggetto sparisce dietro l'oggetto". (David Pierini scopre
nella tossicodipendenza la percezione di "... essere figlio
del padrone del mondo" e come "... la fusione con il padre-Dio
rigenera il narcisismo primario...").
L'onnipotenza illusoria genera un mondo magico onnipotente ed una
furia narcisistica che si manifesta irosamente in Ivano (come abbiamo
visto) e che ci ricorda come ci troviamo nel campo del 2-1 dove
non c'é 3 ed anzi "... la presenza di un terzo produce
furia" (D. Pierini).
Ricordiamo che il 3 funziona come "Ideale dell'IO", come
"Nome del Padre"; la sua presenza fa sorgere il fenomeno
psichico del "dubbio" che é espressione dell'inclinazione
a reprimere e corrisponde "... alla costituzione di un ideale
dell'Io imposto dal di fuori (dal 3) e che questiona la propria
grandiosità (onnipotenza) narcisistica ..." (D. Pierini).
C) Il mito del desiderio.
Quasi in modo automatico ed istintivo la parola desiderio ci collega
alle forze primitive e strutturanti dell'essere umano. Questa pulsione
é legata a sfumature di esaltazione, ma permea anche la volontà,
i sentimenti e le dinamiche cognitive.
Senza di esso la vita sembrerebbe priva di colore, monotona, insopportabile,
ma da che dipende il desiderio?
Proprio su queste ooservazioni si fonda il mito del desiderio strutturato,quindi,
attorno ad una spinta desiderativa.
Il desiderio si allaccia al concetto di funzione paterna ed é
da considerarsi legato al transfert.
Nell'autismo Lacan colloca un collasso del desiderio che si articola
attorno alle figure di riferimento (la madre, il padre, il figlio,
il sé). Il mito del desiderio si colloca paradigmaticamente
nella storia di Amleto. Nella scena 3°, entra nelle stanze materne,
dopo la scena teatrale che ha messo in evidenza la colpa del padre;
é deciso al matricidio, ma lo ferma l'apparizione del fantasma
paterno. Ciò che prende il sopravvento é lo stupore.
L'intervento del "padre-ideale" sul figlio carico di desiderio
con lo stupore genera inquietudine e sottrae energia al desiderio
provocandone il collasso.
Tra lo stupore e l'inquietudine si annoda un immaginario e nasce
un tempo che crea una memoria: il soggetto si carica di tensione
sufficiente a rompere la coazione a ripetere e l'isolamento autistico.
la storia di Ivano
Ivano è un bambino di dieci anni quando comincia la terapia
E.I.T.
Viene presentato come "autistico" con gravi disturbi comportamentali
che ha poco modificato durante tutto il periodo di frequenza dell'Istituto,
iniziato nel settembre 1999, continuativamente tutti i giorni dalle
9 alle 16 (escluso il sabato e la domenica).
Nel lavoro in Istituto Ivano ha seguito un trattamento TEACCH e,
la mattina, ha frequentato la "scuola dell'obbligo" in
una classe di 5 ragazzi (3? e 2?) e due insegnanti di sostegno.
L'intervento di E.I.T. è stato programmato, per Ivano, tenendo
conto di quanto emerso nel resoconto annuale dove si legge:
".... nel caso di Ivano il trattamento TEACCH ha fatto registrare
miglioramenti impercettibili rispetto alle risorse impegnate (rapporto
1:1)".
osservazione iniziale
Ivano si trova nella sua classe seduto su una sedia con le gambe
infilate nello schienale in modo da risultare contenuto nei movimenti.
É attento ad ogni minima modificazione dell'ambiente e comincia
a gridare e ad agitarsi quando entriamo.
Avvicinarsi a lui è praticamente impossibile poiché
lancia pedate, sputi, urla e qualsiasi cosa possa afferrare.
La maestra riferisce come sia difficile lavorare con lui, anche
se è più tranquillo con le persone che conosce, ma,
comunque, è sempre "pericoloso" ed anche a lei
strappa gli occhiali, dà calci, l'afferra, la investe con
sputacchi, le tira i capelli.
Anche con i compagni dimostra le sue reazioni violente, scatenate
da impulsi interiori, ingiustificati ed inspiegabili.
Nel corso degli anni il bambino ha fatto qualche progresso nell'applicazione
(disegnare con un dito, utilizzare qualche oggetto), anche se le
reazioni aggressive e distruttive possono scoppiare in qualsiasi
momento.
La caratteristica principale del comportamento è la necessità
imperiosa ed ineludibile di essere contenuto con entrambe le mani;
forma che deve essere adottata sempre, anche per accompagnarlo ai
servizi o agli altri ambienti di lavoro (per es. laboratorio TEACCH).
terapia E.I.T.
Questo intervento è stato veramente durissimo all'inizio,
in quanto il contenimento fisico (trattenerlo per entrambe le mani)
non era sufficiente ad evitare i calci, gli sputi, le urla, i rotolamenti,
i graffi, lo strappare i capelli, l'afferramento del colletto della
camicia insieme alla catenella dell'operatore che, a volte, si è
visto strappare via, oltre agli occhiali, anche l'orecchino.
La parte più difficile di una seduta è stata senza
dubbio il trasferimento dall'aula alla palestra che funziona da
setting terapeutico che si trova nel sottosuolo. Percorrere il lungo
corridoio, scendere (e poi risalire) tre rampe di scala e muoversi
tra gli attrezzi è risultato, nelle prime tre settimane di
terapia, un vero supplizio: Ivano strappava e gettava via ogni cosa
riuscisse ad afferrare.
Insieme a questi comportamenti, il piccolo dimostrava anche un altro
atteggiamento caratteristico, quello di "mandare bacini"
che risultava quindi, come messo in evidenza in altri lavori e nella
relazione clinica sugli autistici, un atto controfobico-riparativo.
L'inizio del trattamento ha richiesto un contatto fisico costante
tra lo psicoterapeuta ed il giovane mentre si cercava di compiere
delle attività minime, come sedersi, cambiare sedia o panchina,
camminare insieme, salire e scendere le scale, "salutare"
il calorifero, la finestra o gli altri operatori, ecc.
Ivano ha cominciato quasi subito a sedersi normalmente e questo
ha tratto in inganno un po' tutti. Tornando in classe o nella sala
TEACCH la maestra e l'operatrice hanno messo il giovane "seduto
bene", provocando però una situazione di crisi e di
tensione costante che portava a:
- alzarsi repentinamente per correre a strappare i capelli a qualche
compagno;
- pretendere la vicinanza dell'operatrice per evitare scariche di
aggressività;
- correre a dar fastidio agli altri compagni impegnati nel loro
lavoro.
Si evidenziava una specie di "gelosia" che, non essendo
controllata dal contenimento sulla sedia, dava energia alle scariche
di aggressività.
Questa osservazione ha portato a capire che non si deve mai trasferire
automaticamente i risultati di un setting ad altre situazioni, per
es. quelle educative e/o riabilitative. Si è anche confermato
che nei primi momenti della terapia (circa due mesi) sia nell'ambito
scolastico che in quello riabilitativo (TEACCH) si possono osservare
anche peggioramenti del comportamento che devono essere messi in
relazione con gli squilibri emotivo-affettivi attivati, in modo
temporaneo, dalla relazione terapeutica e, soprattutto, dall'alternanza
della presenza e dell'assenza del terapeuta, non solo nei vari periodi
della giornata, ma anche in quelli settimanali poiché le
sedute terapeutiche sono bisettimanali e della durata di un'ora.
proseguimento della terapia
Ivano è impacciato nei movimenti e anche nel camminare è
insicuro; bisogna quasi trascinarlo e, sulle scale, scende ponendo
avanti con titubanza sempre il piede destro aggrappandosi vistosamente
ad entrambe le mani del terapeuta.
Risulta difficile farlo muovere perché ogni accenno a cambiare
di posizione scatena una crisi oppositiva con relativo gettarsi
a terra da dove poi deve essere sollevato come corpo morto. Le crisi
di angoscia sono per lo più accompagnate da urla e da invocazioni
a Moia (Moira), la sorella, risultando un vero supplizio per gli
altri ragazzi che lavorano vicino.
Urlare, gridare, gettarsi a terra si accompagnano a graffi, sputi,
calci, strappi di capelli, afferramenti del colletto della camicia,
da cui risulta un quadro veramente sconsolante e ne derivano segni
fisici (lividi, graffi) che uno si porta a casa regolarmente. I
compagni di Ivano ne hanno terrore, così come le inservienti
e le impiegate, a tal punto che, quando lo vedono arrivare, cercano
subito di allontanarsi.
Con tutto questo, non si é mai interrotta la seduta di un'ora
di terapia e, con il passare del tempo, il giovane ha cominciato
ad accettare di lavorare anche se sempre "afferrato" per
entrambe le mani. Passeggiare, scendere le scale, camminare sull'asse
di equilibrio, scambiare con gli altri una palla (preferibilmente
pesante), soffermarsi davanti allo specchio per guardare tutta la
persona indicandone le parti e pronunciare le vocali (per il momento
a,o,e), cominciano ad essere esercizi possibili, così come
avvicinarsi agli altri con qualche abbraccio.
Restava presente la tendenza ad afferrare ogni cosa, romperla e
gettarla via: abitudini che si sono affievolite e, per lo più,
sparite; anche il contenimento diventava meno pressante. Ivano si
è convinto a non sferrare più calci e graffi e, quindi,
si è via via cominciato a lavorare più proficuamente
e senza interruzioni.
Dopo quattro mesi di terapia E.I.T. i miglioramenti comportamentali
sono decisamente netti e, cosa più importante, si possono
sottolineare anche in classe, dove la maestra riesce a proporre
con più continuità piccole attività (anche
nuove); in Istituto tutti riconoscono i cambiamenti di Ivano che
"... non picchia più quando qualcuno gli passa vicino".
Restano comunque le difficoltà a proporre attività
per lui nuove che continuano a provocare crisi di angoscia e di
opposizione, anche se meno intense e di minor durata; l'apprendimento
poi è più celere e si possono notare i cambiamenti
ad ogni intervento terapeutico.
Rilevante è l'accettazione della vicinanza fisica dei compagni
che abbraccia, bacia ed accoglie su richiesta (non hanno quindi
carattere controfobico) con una piccola pacca sulla schiena come
il terapeuta fa con lui.
Per commentare il lavoro svolto, va sottolineato come sia
stato terribilmente lento ogni cambiamento, tanto da far pensare
anche ad una deficienza delle capacità intellettive che,
per altro, non sembra essere evidente. Il quadro psicopatologico
è dominato da una grave incontinenza emotiva che genera crisi
di vero terrore, opposizione ed aggressività.
L'imposizione di essere contenuto e la quasi caricaturale richiesta
di essere afferrato sottolineano l'atteggiamento mentale che, sempre,
abbiamo messo in evidenza negli autistici: la "proibizione"
di fare, di agire ed anche solo di muoversi di propria volontà.
Un altro aspetto è l'incapacità di rispettare gli
oggetti animati ed inanimati, con la conseguente "tabula rasa"
di cui il piccolo si circonda, fatta eccezione di un orsetto bianco
appeso alla parete della classe, accanto alla sedia dove è
infilato con una sola gamba e che prende ogni tanto, coccolandolo
quando ascolta una musica dolce.
Ogni giorno ci chiediamo dove arriverà Ivano con i suoi
miglioramenti, ma sappiamo che questi ci saranno, come in tutti
gli altri casi trattati e che richiederanno una "incrollabile"
pazienza.
La nostra esperienza insegna che sono richiesti mesi e mesi di
continuo lavoro, ci saranno alti e bassi, miglioramenti e regressioni,
ma tra tre anni potremo avere un Ivano nuovo, che partecipa alle
attività individuali e gruppali ed alla vita sociale della
famiglia e della scuola e che, con la sua presenza, ci rinnoverà
il rammarico di aver cominciato con lui la terapia solo a dieci
anni dopo tanti inutili e frustranti intenti.
Per avere una chiara visione dei miglioramenti osservati nei primi
mesi di terapia E.I.T. possiamo osservare i due schemi di raccolta
dei dati che quantificano numericamente e percentualmente i risultati,
pur tenendo conto che queste valutazioni, distribuite su un ampio
ventaglio di items, restano legate alla soggettività dell'osservatore.
Per dare un giusto valore a questa tabella basta considerare che
alla prima osservazione il punteggio dedotto era di 64, vale a dire
solo tre punti in più del minimo dovuti 2 al controllo degli
sfinteri ed 1 al riconoscimento degli operatori.
Un punteggio così basso ci sottolinea la gravità
del caso dal momento che tutti gli items sono deficitari.
La gravità del caso non va considerata dal confronto tra
tipi di disturbo o dei comportamenti gravi in linea verticale, ma
dalla complessità dell'intervento che deve essere messo in
atto per la riabilitazione personalizzata, quindi secondo un approccio
di tipo orizzontale.
Nella tabella seguente gli items presi in considerazione sono di
tipo clinico ed i valori più sono alti e più si riferiscono
a situazioni difficili.
I miglioramenti sono registrati in valori numerici ed anche percentualemte
così che si può osservare come nei primi due mesi
il miglioramente calcolato è stato del 17,89%, mentre nei
secondi due mesi si è osservata una percentuale del 18,91.
Particolarmente utile è tenere conto delle modificazioni
per area, così, in questo caso, si può notare che
molto poco si è ottenuto nel campo cognitivo ed é
quindi su questo che bisognerà cercare di impegnarsi in modo
speciale.
commento
Quadri di intenso isolamento, caratterizzati da "regressione"
e/o interruzione dello sviluppo psico-mentale, richiedono, prima
di iniziare qualsiasi intervento di ri-educazione o riabilitazione,
una terapia capace di oltrepassare barriere psico-affettive per
strutturare l'immaginario ed il simbolico, partendo dal reale.
Bambini autistici o psicotici rappresentano i quadri più
gravi della psicopatologia e, quindi, risulta "ingenuo"
pensare di superarli con semplici tecniche psico-educative o fondate
sulla psicomotricità.
Le risposte positive ottenute con gli interventi psicoterapeutici-relazionali
hanno guidato lo sviluppo della tecnica e contribuito enormemente
a strutturare le basi teoriche per l'interpretazione dei meccanismi
mentali che giustificano l'instaurarsi della sintomatologia psichica
ed anche delle dinamiche profonde relative alla strutturazione dell'
Io, del narcisismo, del Nome del Padre e, in ultima analisi, dei
processi vincolari che troviamo disturbati nei quadri psicopatologici
dei primi anni di vita.
Queste osservazioni, basate sulla psicoterapia, hanno portato a
considerare l'autismo infantile precoce (o le forme di innesto)
come una "identità strutturale psichica" caratteristica
(ma anche modificabile con la terapia), capace di interagire con
lo sviluppo del vincolo madre-figlio e con la prassi della "funzione
materna" attraverso formazioni reattive messe in moto dalle
caratteristiche eccezionali degli autistici.
Va sottolineato che anche l'apparato tecnico-psicoterapeutico-psicoanalitico
ha richiesto adattamenti e specializzazione per poter penetrare
ed affrontare terapeuticamente le problematiche delle strutture
primitive.
Gli scarsi risultati ottenuti con le tecniche psicoterapeutiche
classiche e la valutazione sistematica della pratica dell' E.I.T
(terapia di integrazione emotivo-affettiva) hanno imposto di organizzare
un modello operativo altamente specializzato, strutturato sulle
problematiche profonde e primitive, basato sulle teorie psicodinamiche
e psicoanalitiche, ma, soprattutto, fondato sulla pratica relazionale.
Mentre nei casi di psicosi simbiotica (secondo la descrizione della
M. Mahler) l'interpretazione verbale occupa un certo spazio nel
lavoro terapeutico, in quelli di autismo infantile precoce l'intervento
ha un punto di partenza a livello dell'oggetto reale per poter accedere
a quello simbolico: la riduzione al livello puramente reale è
molto più radicale nell'autismo che in qualsiasi altra psicosi
infantile.
La storia di Ivano conferma la considerazione che l'autismo é
un disturbo dello sviluppo psicomentale e che, quindi, può
essere ripristinato.
a) L'incontinenza emotiva grave
che sottende le crisi di angoscia, di opposizione e di aggressività,
può essere riferita ad insufficienza funzionale dell'affettività
che, quindi, non riesce a contenere le risposte emotive-primitive.
Questa lettura va interpretata come un dis-funzionamento dell'articolazione
tra corteccia prefrontale (aree cerebrali connesse all'affettività)
e lobo limbico (aree cerebrali connesse all'emotività).
Tali osservazioni giustificano l'impostazione del processo terapeutico
che mira, prima di tutto, a controllare l'emotività e a ri-strutturare
le relazioni affettive sia con il Sé che con gli Altri. Imparare
a muoversi correttamente (scendere e salire le scale, saltare, correre)
rinforza il senso di sé ed accentua l'autosoddisfazione,
favorendo l'autocontrollo e l'autovalorizzazione.
L'iper-reattività emotiva sottolinea la presenza nell' Io
di un nucleo persecutorio (Super-Io-arcaico-distruttivo) che giustifica
l'imposizione a non muoversi, a non fare, a non agire.
La terapia, attraverso una iniziale simbiosi tra soggetto e terapeuta,
porta a sviluppare elementi narcisistici (poter guardarsi allo specchio)
che progressivamente, con l'accoglimento e sotto il controllo, si
trasformano in auto-identificazione e narcisismo secondario.
Questo passo è fondamentale per la ripresa dello sviluppo
psico-mentale, così come dimostrato dalla riduzione delle
valenze aggressive ed oppositive, primitive ed arcaiche.
L' oggetto perduto (Super-Io arcaico) che sovrasta l'Io come ombra,
attraverso la terapia si trasforma in "Nome del Padre"
che apre alla collaborazione, sinonimo di identificazione e di "riconoscimento
del valore dell'Altro" trasformato in "oggetto d'amore"
da salvare.
b) I comportamenti aggressivi
(Ivano scalcia, picchia, graffia) rappresentano un sentimento di
onnipotenza riflesso sull' Io attraverso l'adesione simbiotica all'oggetto-padre-immaginario
che, di per sé, è anche espressione del Super-Io-sadico-arcaico.
Da questa osservazione, le parole di Lacan: "... il soggetto
sparisce dietro l'oggetto" acquistano un preciso significato
e la terapia relazionale acquista un nuovo obiettivo: ridare significato
all' Io attraverso l'autovalorizzazione.
La rottura del legame (quasi un riflesso condizionato) che unisce
lo stimolo alla risposta aggressivo-distruttiva si ottiene con la
valorizzazione del Sé che si proietta sull'Altro (oggetto,
persona) attraverso un processo di identificazione mediato dal terapeuta.
Questi funziona da 3 (rompendo la dinamica primaria della corrispondenza
duale o della simbiosi) può mettere in moto meccanismi di
dubbio, di stupore e di inquietudine che generano attenzione, memoria
e spinta ad abbandonare i comportamenti stereotipi.
Il processo terapeutico, per poter ripristinare lo sviluppo psico-mentale
bloccato dalla reazione autistica, deve strutturare la situazione
triangolare nella quale il terapeuta funge da Io-ausiliario che
produce la trasformazione del Super-Io in appoggio, conduzione,
guida e identificazione che scalza e sterilizza il super-Io-arcaico
(frutto della precedente simbiosi), introiettato come oggetto onnipotente-persecutorio.
Leggiamo, a volte, che "l'amore risolve la paura e rompe l'isolamento
sorto come reazione a sentimenti di dolore e di colpa per la perdita
dell'oggetto amato", ma l'osservazione precisa e lo studio
attento della casistica porta ad altre considerazioni.
Gli autistici sono chiusi in un isolamento onnipotente che viene
espresso dagli stessi pazienti (quando riescono a parlarne) "...
io non ho bisogno di nessuno; se vogliono darmi qualcosa mi fa piacere,
ma non posso chiedere e non voglio contraccambiare (reciprocità)
perché sarebbe perdere la mia indipendenza".
L'incapacità di vivere un sentimento di gratitudine, che
spesso è anche legato a difficoltà di comprendere
i legami tra causa ed effetto, è soprattutto espressione
di superiorità e di disdegno (automatico, istintivo, irrazionale,
precognitivo).
La difficoltà della terapia sta proprio nel riuscire a porsi
come 3 e, quindi, produrre l'interiorizzazione che permette di costruire
quella situazione triangolare "triadica" che è
l'Edipo propizio per l'integrazione.
Questa richiede la costituzione di un Super-Io-integrato che perda
la consistenza arcaica, persecutoria e distruttiva, per acquisire
un elemento paterno insieme ad un altro materno.
Tali considerazioni combaciano perfettamente con le osservazioni
fatte nel caso di Ivano che ha accettato il terapeuta (quante sono
state le crisi di gelosia!) come "padre buono", ma anche
come "legge" all'interno dei cui limiti riesce a fare
vivere quel sentimento di "amore" che però è
"valore" e "desiderio di salvare, oltre che di crescere".
Essere contenuto per trasformare la dipendenza in accompagnamento
e, successivamente, in libertà ed in scelta autonoma del
cammino terapeutico transitato per raggiungere, attraverso la gratificazione
narcisistica, un sentimento di identità del Sé, di
auto-valorizzazione e di auto-soddisfazione.
Con l'identificazione l' Io-ausiliario = Super-Io diventa Nome
del Padre ed Io-ideale che è prolegomeno di individualità.
c) Il desiderio.
Il terapeuta deve saper cogliere la situazione fatidica della "sorpresa"
che è rappresentato dall'accoglienza nel preciso momento
in cui la madre "produce" la consegna, l'affidamento e
la "rinuncia".
L'atto simbolico trasforma il terapeuta in "PADRE" che
è il 3, significante della "castrazione", come
dice Lacan, ma anche apertura alla crescita attraverso l'atto identificatorio.
In questo si ripristina il "desiderio" nel quale l'autistico
trova un "luogo" ed un "suo desiderio" che sarà
finalmente un atto d'amore prima verso di sé, poi verso il
terapeuta e, quindi, verso il mondo della realtà.
La scoperta del desiderio e dell'amore apre le porte all'introiezione
ed alla formazione degli oggetti: il primo è l'oggetto Sé.
Ivano trova se stesso attraverso il "desiderio" di camminare,
di scendere e salire le scale, di salutare, di lanciare la palla;
nei primi abbracci dei compagni, della maestra; sperimenta la socializzazione,
il tutto sotto lo "sguardo" del terapeuta, attento, preciso,
accondiscendente e pieno di "volontà".
L'emozione (sorpresa) guidata dall'affettività (valore)
diventa "desiderio" (apertura all'amore), quindi volontà,
memoria, azione non più coatta e stereotipa, ma libera e
predeterminata. Il gesto è compreso, gli oggetti diventano
stabili, il pensiero si apre al simbolico: è il cammino che
ha percorso Ivano tra momenti di aggressività e di accettazione.
Seguendo queste linee-guida, il processo terapeutico mira a far
strutturare una identificazione personale capace di garantire una
costanza della propria immagine; il fine non è offrire "salute"
o "salute mentale", ma creare il "desiderio"
che è "soddisfazione" di quel "bisogno inespresso"
che dà luce, intelligenza e vivacità agli occhi sbarrati
di questi straordinari bambini che, come Ivano, ci siamo abituati
a chiamare autistici.
Questa immagine riapre il tema della "vita affettiva"
che nell'autismo sembra coperta da un velo di indifferenza; quando
parliamo di "siderazione affettiva" come sintomo, ci chiediamo
se questa sia nascosta o se non sia mai esistita.
L'isolamento funge da fattore tranquillizzante, ma dietro le crisi
emotive di angoscia o di terrore sembra mancare una coscienza di
sé e una coscienza degli oggetti.
La terapia porta a strutturare un Io-cosciente fondato sull'elaborazione
di un tempo reale non ancora legato al simbolico, ma al sistema
percezione-coscienza che, all'inizio, si innesta sulla relazione
presenza-assenza.
Il terapeuta, vincolato alla castrazione della madre che gli consegna
il proprio bambino, si lega al tempo che, nella dinamica presenza-assenza,
rende possibile l'affiorare del "desiderio". Tale sequenza
si impone al bambino che la trasforma in un "lasso di tempo"
che trascorre tra apparizione e scomparsa o "tempo di aspettativa"
necessario per tornare ad avere l'oggetto.
Il "desiderio" va a popolare l'inconscio creando così
una atemporalità nella quale perdura una "permanenza
del desiserio" ed è in questa "iscrizione"
che si struttura l' immaginario, materia prima per organizzare l'esperienza
cosciente.
La coscienza di sé e la coscienza degli oggetti permettono
la nascita della "soggettività" e, quindi, del
"narcisismo secondario" frutto di impronte, fantasie,
pensieri che modificano e modellano il corpo, la cultura ed anche
l'apparato psichico.
La soggettività cambia la "coscienza di sé che,
ancorata alla "coscienza del tempo", "permette di
misurarlo non come esteriorità che ordina cronologicamente
le esperienze, ma come realtà psichica centrata sull' Ideale
dell'Io e sulle vicissitudini della struttura edipica.
Proprio da qui deriva l'importanza e l'imprescindibilità
della terapia per uscire dall'autismo, attraversando la "corrente
narcisistica", istanza normalizzatrice dello psichismo che,
come dice Diana Singer (1998), "regolerà i movimenti
intrapsichici e le relazioni e marcherà i sentieri della
soddisfazione desiderativa".
Contemporaneamente il narcisismo segnalerà gli accordi e
i disaccordi di ogni atto con gli ideali, bilanciando l'autostima
che mai diventa indipendente dai vincoli interpersonali.
Ivano (come Matteo, Giovanni, Andrea, Stefano e tanti altri) si
guarda nello specchio, incrocia lo sguardo con il terapeuta, fa
con lui boccacce e smorfie, si dimena, mentre ... si osserva e stabilisce
... il suo tempo per crescere, il suo ... "senso di esistere"
non più come "personaggio autistico" , ma come
individuo e come persona.
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