IL PROFILO COGNITIVO DELLE PERSONE AUTISTICHE
Mona A., 1999
dalla tesi di laurea (30-11-1999) intitolata:
Il Profilo Cognitivo nell'Autismo: la Comunicazione Facilitata
a Confronto con i Self-Report di 'Autistici ad Alto Funzionamento'
sommario
- La correlazione con il
ritardo mentale
- Le abilità eccezionali
- Le componenti del linguaggio
- Le componenti sensomotorie
- Le capacità cognitive
elementari
- Le abilità visuo-spaziali
- Il pensiero astratto/concreto
- Il pensiero analitico/olistico
- La tolleranza/intolleranza
dell'ambiguità
- Le componenti cognitive della
socializzazione
- Risultati di una ricerca sul
profilo cognitivo nell'autismo
- Bibliografia
Sin dalle prime osservazioni di Kanner (1943) è stata evidente
la particolarità cognitiva dell'Autismo. Quello che segue è un tentativo
di sistematizzazione delle considerazioni presenti in letteratura
a questo proposito.
Con il termine profilo cognitivo, in queste pagine si fà riferimento
all'insieme delle peculiarità nella raccolta e nell'elaborazione
delle informazioni. Tale concetto è intrinsecamente legato a quello
di stile cognitivo. Dal precedente capitolo è emerso come la letteratura
sullo stile cognitivo (e talvolta sugli stili cognitivi) sia contraddittoria
e qualora alcuni modelli appaiano sovrapponibili non vengono di
fatto eseguite delle integrazioni unitarie e coerenti. Dei tentativi
in questa direzione sono stati, d'alto canto, intrapresi (Riding
e Sadler-Smith, 1992; McKenny e Keen, 1974 cit. in Furnham, 1995;
Furnham, 1995).
Non essendovi uniformità nell'accezione di stile/i cognitivio/i,
per gli scopi di questo lavoro, si è preferito impiegare una terminologia
meno specifica.
Il concetto di profilo cognitivo, in questo contesto, viene utilizzato
per significare l'insieme delle capacità generali (memoria a breve
termine, velocità mentale, etc.), delle capacità periferiche (abilità
visiva, abilità di programmazione motoria, etc.) e, ad un differente
livello logico, delle particolari modalità di raccolta ed elaborazione
delle informazioni (stili cognitivi).
La correlazione con il ritardo mentale
[sommario]
La relazione tra ritardo mentale ed Autismo è stata ed è causa
di accesi dibattiti. In passato, una fonte di confusione è stata
la tendenza a ritenere l'Autismo un disturbo "puro", ossia che non
si riscontra in presenza di altre sindromi, quali appunto il ritardo
mentale. Tager-Flusberg e Baron-Choen ritengono che la categoria
di Autismo ad alto funzionamento sia usata per distinguere questa
forma "pura" di Autismo da quella legata al ritardo mentale (Tager-Flusberg
e Baron-Choen, 1993).
Attualmente è accertata l'esistenza di ritardo mentale in circa
il 70 % delle persone autistiche (Gillberg e Coleman, 1992: 32-33).
Peeters mette in guardia da pericolose semplificazioni relative
a questo dato: il rendimento cognitivo di persone con Autismo non
può essere compreso correttamente se non alla luce delle peculiarità
del suo profilo cognitivo. In altri termini, Peeters si chiede fino
a che punto l'apparente ritardo mentale non è conseguenza di una
incompresa diversità nella raccolta ed elaborazione delle informazioni
(Peeters, 1994: 31-32).
Andando oltre l'informazione sul QI delle persone con Autismo si
scopre una interessante caratteristica: il rendimento nelle diverse
abilità è disomogeneo (mentre le persone con ritardo mentale rendono
allo stesso livello nelle diverse aree) (Peeters, 1994: 32-33).
In un recente saggio di Francesca Happé (1999 cfr. sito A-99)
viene sottolineato come sia maggiormente produttivo evidenziare
le potenzialità piuttosto che i limiti delle caratteristiche cognitive
delle persone con Autismo.
Le abilità eccezionali
[sommario]
Alcune persone autistiche presentano aree di abilità più sviluppate
della norma. L'incidenza nell'Autismo di queste abilità eccezionali
è del 10%, mentre nella popolazione generale è di 1%. Le aree in
cui vengono abitualmente espresse le savant abilities sono: calcolo,
prove di memoria (soprattutto memoria di date e calendari), abilità
artistiche e musicali (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH).
Per spiegare il fenomeno delle "savant abilities", Rimland (cit.
in Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH)
ipotizza una straordinaria capacità di focalizzare l'attenzione
su una specifica e circoscritta area d'interesse.
In alcuni casi di diminuzione dei sintomi autistici si è riscontrato
una parallela diminuzione nelle isole di abilità. Secondo Temple
Grandin (1996 cfr. sito CSA)
questo declino potrebbe essere prevenuto con un semplice allenamento.
Le componenti cognitive del linguaggio
[sommario]
Lo sviluppo del linguaggio sembra essere intimamente legato allo
sviluppo della teoria della mente del bambino: è stato ipotizzato
che funzionalmente il linguaggio sia espressione, così come lo è
la comprensione degli stati mentali altrui, della capacità metarappresentativa
(Tager-Flusberg, 1993).
Il linguaggio si sviluppa normalmente intorno al nono mese di vita.
Non compare però improvvisamente: sono stati individuati alcuni
atti comunicativi che precedono e fondano lo sviluppo della comunicazione
verbale. Tager-Flusberg (1993) elenca tre comunicazioni intenzionali
di tipo prelinguistico: routine sociali (come dire ciao o arrivederci),
protoimperativi (atti usati per ottenere qualcosa) e protodeclarativi
(atti usati per indicare un oggetto interessante). Proprio quest'ultimo
tipo di comportamenti comunicativi sembra essere assente nelle persone
con Autismo.
Alcuni Autori leggono questo dato attraverso l'ipotesi di deficit
nella joint-attention (Tager-Flusberg, 1993; Mundy e Kasari, 1993):
le persone con Autismo non sono in grado di utilizzare uno "scambio
triadico", ossia una relazione a tre fra un osservatore interessato,
una persona da coinvolgere nell'osservazione e l'oggetto dell'attenzione.
In modo simile, i bambini autistici hanno problemi notevoli anche
nel seguire lo sguardo di un'altra persona, anche quando questo
è accompagnato da indicazione.
E' stato ipotizzato che a fondamento di questa mancanza vi fosse
un deficit relativo al contatto oculare, oppure connesso con l'indicazione.
Quest'ipotesi è stata esclusa dall'osservazione di un pressoché
normale sviluppo di atti protoimperativi: contatto oculare e indicazione
sono efficienti quando sono usati per ottenere un oggetto desiderato
(Mundy et al., 1993).
Vi sono altri aspetti significativi sul joint-attention deficit
nell'Autismo. In primo luogo v'è la sua alta incidenza rispetto
a questa sindrome: 94% per gli autistici low-functioning (Mundy
et al., 1986 cit. in Mundy et al., 1993).
Al contempo, è importante sottolineare che il joint-attention deficit
è modificabile tramite opportuni contesti o stimoli sociali. Conseguentemente,
gli Autori suggeriscono l'importanza di un intervento precoce di
questo tipo (Lewy e Dawson, 1991 cit. in Mundy et al., 1993).
Sono state date differenti interpretazioni della mancanza di atti
protodeclarativi nell'Autismo.
Hobson (1993) ha ipotizzato che le anomalie linguistiche delle
persone con Autismo siano una diretta controparte dei disturbi nella
socializzazione. Egli legge pertanto questo dato in connessione
alle componenti affettive che contraddistinguono questa sindrome.
Egli ritiene che i disturbi nell'area della comunicazione siano
causati, nell'Autismo, dall'assenza di una propensione affettiva
e relazionale verso le persone. In quest'ottica, la mancanza di
comportamenti volti ad attirare l'attenzione , e più in generale
l'assenza di una teoria della mente, costituirebbero una conseguenza
dello scarso interesse emotivo verso le persone.
Questa interpretazione ha ricevuto delle critiche basate sull'osservazione
che normalmente i comportamenti volti al coinvolgimento dell'attenzione
di altre persone è legato ad affetti positivi. Di contro, quando
tali comportamenti sono messi in atto da persone con Autismo, è
molto improbabile riscontrare un'affettività positiva, mentre nella
prevalenza dei casi non si riscontra alcun tipo di affettività (Tager-Flusberg,
1993).
Particolarmente significativo è che i comportamenti volti alla
joint-attention sono un predittore del grado di sviluppo del linguaggio
(Lewy e Dawson, 1991 cit. in Mundy et al., 1993). E' inoltre rilevante
che l'indicare sia ritenuto da Vigotskji (cit. in Hobson, 1993)
un presupposto base della maturazione del linguaggio.
Già dalle prime osservazioni di Kanner (1943) emerse una peculiarità
del linguaggio nell'Autismo: l'inversione pronominale.
All'interno dell'ipotesi sulla teoria della mente nell'Autismo,
viene offerta una lettura di questo fenomeno. In linea con questo
modello teorico, le affermazioni fatte dalle persone con Autismo
sono distorte dalla incomprensione del duplice ruolo di parlante/ascoltatore.
Da ciò deriva la tendenza a riprodurre le affermazioni del colloquiante:
"vuoi mangiare?" al posto di "voglio mangiare" (Tager-Flusberg,
1993).
Loveland e Tunali (1993), a seguito di una rassegna sugli stili
narrativi, indicano le principali particolarità che ci si può attendere
in narrazioni di individui autistici:
a)scarsa comprensione dello stato di conoscenze dell'ascoltatore
(parlare di cose a lui sconosciute come se egli ne fosse al corrente);
b)mancanza di descrizione di pensieri, emozioni e motivazioni dei
personaggi;
c)scarsa attenzione al contesto sociale e culturale degli eventi.
Del linguaggio, ed in particolare delle narrazioni, delle persone
con Autismo si sono interessati anche Bruner e Feldman (1993). Questi
Autori attribuiscono alle capacità di organizzare strutture narrative
un ruolo fondamentale nella genesi delle anomalie sociali e relazionali
delle persone autistiche sia low- che high-functioning. La loro
ipotesi è che gli individui affetti da Autismo non riescono o non
vogliono organizzare le informazioni sul mondo in schemi di narrazione,
che seppur con diversità, universalmente sono utilizzate per la
comprensione della realtà sociale (dal sé al riconoscimento delle
emozioni altrui).
Nel Disturbo di Asperger, differentemente che nell'Autismo tipo
Kanner, le abilità verbali sono nettamente superiori alle abilità
di performance (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH).
Anche in questi casi, però, il linguaggio ha delle peculiarità significative:
è difficile conversare, mentre è molto più probabile che lo scambio
si trasformi in un monologo; si può dialogare prevalentemente su
alcuni argomenti cui la persona con Autismo è particolarmente interessata
(Tager-Flusberg, 1993).
Per queste persone, secondo Bruner e Feldman, l'ipotesi di un disturbo
nell'organizzazione narrativa degli eventi è ancor più evidente
che nell'Autismo "classico". Le loro abilità sono particolarmente
significative in aree come problemi aritmetici e problemi fondati
su ragionamenti causa-effetto; quando si tratta di dar conto degli
eventi relazionali in contesti sociali, senza il supporto di competenze
narrative, il risultato previsto è inadeguato o bizzarro.
Le componenti senso-motorie
[sommario]
Diversi Autori sostengono che la "comprensione" si fonda strutturalmente
sulla "percezione": è attraverso la raccolta ed elaborazione dei
dati percettivi che viene conosciuta la realtà (White, 1989; Manning,
1989; Peeters, 1994: 31).
Stankov et al. (1995), riprendendo la teoria di Cattell, sostengono
che il rendimento cognitivo dipende non solo da intelligenza fluida
(Gf) e cristallizzata (Gc), ma anche dalle cosiddette 'provincial
capacities' che implicano le potenzialità percettivo-motorie indispensabili
all'esecuzione di una prova.
La constatazione delle anormalità sensoriali delle persone autistiche
è quindi il presupposto per una diversità nello stile cognitivo:
"ascoltano, sentono e vedono, ma il loro cervello tratta le informazioni
diversamente" (Peeters, 1994: 31).
In particolare Groden e Le Vasseur (1999 cfr. sito A-99)
ritengono che il particolare funzionamento dei canali sensoriali
contribuisca in modo determinante al quadro della Sindrome Autistica.
Suoni, stimoli visivi e contatto fisico possono avere effetti paradossali
per individui affetti da Autismo.
Le capacità cognitive elementari
[sommario]
In questa sindrome sembrano esservi anche dei problemi strettamente
connessi con l'attenzione.
In una recente conferenza indetta dalla National Autistic Society
britannica, Philip Graves (cfr. sito A-99)
riporta una serie di ricerche da cui si evince che la relazione
fra Autismo e deficit dell'attenzione è stata trascurata o riportata
marginalmente, senza un approfondimento del ruolo svolto dal deficit
attentivo nell'eziologia e nella patogenesi della Sindrome Autistica.
Grandin cita un esperimento da cui risulta che le persone con Autismo
hanno una notevole difficoltà a spostare l'attenzione tra stimoli
uditivi e visivi (Courchesne et al., 1989 cit. in Grandin, 1996
cfr. sito CSA).
Questo scarso controllo dei processi attentivi è probabilmente alla
base dei comportamenti stereotipati tipici di questa sindrome.
Murray e Lesser (1999 cfr. sito A-99)
affermano che il computer costituisce l'ambiente ideale per promuovere
comunicazione, socializzazione e creatività nelle persone con Autismo.
Infatti, una problematica dell'Autismo è di dover fronteggiare diversi
stimoli e canali percettivi contemporaneamente: l'uso di computer,
invece, non richiede spostamenti dell'attenzione.
La relazione fra intelligenza e memoria è stata studiata
da molti Autori. In particolare, nell'Autismo, sono stati riscontrati
dei deficit della memoria per eventi recenti (Boucher, 1981 cit.
in Gillberg e Coleman, 1992: 31).
Le abilità visuo-spaziali
[sommario]
Nelle prove della WISC, le persone affette da Autismo, mostrano
una serie di notevoli sbalzi fra prestazioni ottime e scadenti.
Ottengono risultati elevati in prove visuo-spaziali, mentre in test
associati al linguaggio ed in quelli relativi a intuizione/empatia
le loro prestazioni sono estremamente basse (Gillberg e Coleman,
1992: 31).
Lovett, (1998 cfr. sito SFTAH)
riferisce di una ricerca da cui risulta che l'informazione visiva
sia più facilmente elaborata dalle persone autistiche.
Tale peculiarità prende il nome di pensiero visivo, ed è posta
in contrapposizione al pensiero verbale, che utilizza prevalentemente
le parole.
Il pensiero astratto/concreto
[sommario]
A parità di Età Mentale, rispetto a bambini normali o con ritardo,
ottengono migliori risultati nella discriminazione concreta. Di
contro, nella discriminazione formale, le loro performance sono
scadenti (Gillberg e Coleman, 1992: 31).
Questa caratteristica è stata anche definita come difficoltà a
riassumere le informazioni complesse deducendone gli aspetti salienti
e le regole che le sottendono.
A parità di EM, persone autistiche e non-autistiche ottenevano
analoghi risultati in prove di memoria di parole non collegate fra
loro: cane, mamma, albero, divano, libro, piatto. Un risultato differente
era ottenuto con parole collegate fra di loro: mela, uva, pompelmo,
aereo, bicicletta, automobile (ossia parole appartenenti a due categorie).Le
persone con Autismo non traggono vantaggio, a differenza dei non-autistici,
dalla possibilità di organizzare in categorie gli elementi da ricordare
(Peeters, 1994: 37-39).
Questo non andare oltre le informazioni immagazzinate, individuando
regole e ridondanze che le sottendono, è alla base del cosiddetto
"vivere alla lettera" (Peeters, 1994: 37-39).
Anche nel gioco è possibile rintracciare questi aspetti del profilo
cognitivo nell'Autismo. Nello sviluppo del gioco è possibile distinguere
tre fasi: g. sensomotorio (basato sulla manipolazione, sulla conoscenza
percettiva), gioco funzionale (utilizzo degli oggetti in base a
ciò che per essi viene previsto) e gioco simbolico (un oggetto può
essere usato per rappresentarne un altro qualsiasi).
Il gioco dei soggetti autistici non raggiunge mai il terzo livello,
appunto quello del gioco simbolico (Baron-Choen, 1993).
Una ripercussione di questa particolarità sono alcune incomprensioni
sociali, in particolare riguardo al non-verbale. E' possibile distinguere
gesti strumentali e gesti espressivi: i primi sono direttamente
connessi con il significato: spingere via una persona vuol dire
che non se ne gradisce la compagnia. Invece, i gesti espressivi,
come la pacca sulla spalla, non contengono in sé il significato
di cui sono portatori, ma sono maggiormente dipendenti dall'apprendimento
sociale (Peeters, 1994: 40-43).
Inoltre, a questa inflessibilità del pensiero si possono collegare
altre caratteristiche del comportamento autistico come la difficoltà
nell'uso di parole relazionali (alto/basso, grande/piccolo,etc.)
e l'incomprensione delle metafore (Peeters, 1994: 72-79; Volkmar
e Klin, 1993).
Anche Harris (1993) ipotizza l'esistenza di una difficoltà cognitiva
nel ragionamento ipotetico, soprattutto quando questo va contro
i dati immediatamente disponibili: l'assenza di gioco simbolico
deriverebbe dal non riuscire a fare come se il tavolo fosse una
tenda, visto che è "così evidente" che esso è un tavolo.
Il pensiero analitico/olistico
[sommario]
Come discusso precedentemente, la letteratura concernente lo stile
cognitivo propone nomenclature distinte per modelli teorici parzialmente
sovrapponibili (Furnham, 1995; Riding e Sadler-Smith, 1992).
Nel presente lavoro si fà riferimento alla definizione dello stile
olistico/analitico proposta da Riding e Sandler-Smith (1992). A
questo stile cognitivo sono però accostabili il modello di McKenny
e Keen (1974 cit. in Furnham, 1995), la dimensione narrow/extensive
scanner di Gardner e Long (1962, cit. in Furnham, 1995), la distinzione
tra strategie algoritmiche/euristiche proposta da Miller, Galanter
e Pribram (1960 cit. in Shouksmith, 1970: 95-97).
Una interessante analogia è quella proposta da Silverman (1989)
tra lo stile olistico/analitico e la dipendenza/indipendenza dal
campo. Non vi è un completo accordo sull'appropriatezza di questo
collegamento (Kaplan, 1989).
La modalità di ragionamento comporta l'elaborazione logico-sequenziale
delle informazioni. Essa è connessa con l'impiego di procedure algoritmiche
nella risoluzione dei problemi: vengono cioè prese in considerazioni
tutte le possibili soluzioni prima di scegliere quella da impiegare.
L'efficacia di questa strategia si contrappone, nei casi più complessi,
alla sua efficienza: non sempre è economico analizzare tutte le
alternative che si hanno a disposizione.
Differentemente, l'elaborazione di tipo olistico delle informazioni,
più legata ad una visione sintetica e unitaria piuttosto che dettagliata
ed analitica, utilizza modalità euristiche per la soluzione di problemi:
non vengono prese in considerazioni tutte le alternative, ma un
ristratto numero scelto in base a colleagamenti con precedenti esperienze
simili.
Frith (1996 cfr. sito VCAE)
sostiene che le persone con Autismo utilizzino più agevolmente il
pensiero olistico.
La tolleranza/intolleranza dell'ambiguità
[sommario]
Come è stato sottolineato da Furnham (1995), la tolleranza/intolleranza
dell'ambiguità, oltre ad essere rilevante per lo studio della personalità,
ha importanti implicazioni sul profilo cognitivo. Difatti, secondo
questo Autore, la tolleranza per l'ambiguità implica una maggiore
disponibilità ad analizzare stimoli e problemi nuovi.
Di contro, l'intolleranza per l'ambiguità comporta maggiori difficoltà
nell'affrontare compiti cui non si è abituati.
Coerentemente con queste osservazioni, una delle note distintive
dell'Autismo è la tendenza a preservare l'identità degli ambienti
e la difficoltà ad affrontarne di nuovi (vedi per esempio Lovett,
1998 cfr. sito SFTAH).
Le componenti cognitive della socializzazione
[sommario]
Quello delle competenze sociali è senz'altro uno degli ambiti più
deficitari all'interno della Sindrome Autistica (Wellman, 1993).
E' stato constatato che con la crescita vi è generalmente un progresso
nelle abilità sociali, sebbene la vita sociale di queste persone
rimane contraddistinta da profonde difficoltà ed anormalità relazionali
(Volkmar e Klin, 1993).
Gli individui con sindrome di Asperger sono più consapevoli della
realtà sociale rispetto a quelli con Autismo classico. D'altro canto,
i loro comportamenti sono molto spesso inappropriati (Lovett, 1998
cfr. sito SFTAH).
In passato le abilità sociali erano ritenute una diretta espressione
dell' EM: le competenze relazionali erano in teoria espressione
delle abilità cognitive generali.
Attualmente, secondo Volkmar e Klin (1993), vi è accordo nel considerare
queste abilità relativamente indipendenti.
Merita attenzione anche il ruolo che le diversità cognitive giocano
nello sviluppo dei disturbi della socializzazione (Grandin, 1996
cfr. sito CSA).
Risultati di una ricerca sul profilo cognitivo
nell'autismo
[sommario]
Alcuni scritti di persone con autismo ad alto funzionamento sono
stati analizzati alla luce delle ipotesi sino a questo punto delineate.
Quella che segue è una sintesi di tale studio.
L'analisi dei testi ha mostrato una caratterizzazione particolare
del profilo cognitivo delle persone con Autismo.
Le anomale capacità cognitive elementari (durata, controllo e spostamento
dell'attenzione, capacità della memoria a breve termine), insieme
ai disturbi percettivo-motori sono riconducibili, in una causalità
circolare, ad un particolare profilo cognitivo.
Coerentemente con queste caratteristiche, infatti, sono evidenziabili
la preferenza per modalità visive di raccolta ed elaborazione delle
informazioni: il pensiero visivo non richiede ampio utilizzo di
memoria a breve termine, che risulta indispensabile per il pensiero
verbale.
La preferenza per il pensiero concreto risulta essere espressione
di una difficoltà a generalizzare e ad astrarre. Entrambe queste
capacità dipendono dalla possibilità di organizzare il pensiero
in modo sequenziale piuttosto che associativo (tipico del pensiero
per immagini).
Inoltre, gli aspetti sopra evidenziati sono parte integrante dello
stile olistico di raccolta ed elaborazione delle informazioni, pure
questo correlato con la difficoltà nella sequenzialità e con la
preferenza per una visione d'insieme.
L'intolleranza dell'ambiguità e le difficoltà nella socializzazione,
ad un livello logico superiore, potrebbero essere una conseguenza
delle difficoltà ad astrarre le regole a partire dalle proprie esperienze.
Di qui la preferenza di altre modalità interattive, quali gli scambi
di e-mail e l'utilizzo di mailing-lists.
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