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LA COMUNICAZIONE FACILITATA IN AMBITO GIUDIZIARIOCenciarelli I., Mona A., 1999
I risultati forniti dalla CF mostravano che persone ritenute non in grado di comunicare e con deficit cognitivi gravi, in realtà, potevano esprimere, senza dover nominare un tutore, le proprie opinioni su questioni cruciali per la loro vita (il tipo di assistenza e/o percorso terapeutico, tutela dei propri interessi legali), fino anche a scrivere una denuncia per un presunto abuso sessuale (Stavis, 1994). In merito a ciò l'APA e l'ASHA hanno sconsigliato di avvalersi del metodo per confermare o confutare affermazioni relative a violenze o per assumere decisioni diagnostiche o relative ai trattamenti cui sottoporre al paziente (APA, 1994 cit. in Schubert, 1995). Visto che le Corti Gudiziarie americane hanno svolto un ruolo centrale nella diffusione della tecnica, sarà opportuno inserire una breve digressione sull'ammissibilità di nuove tecniche scientifiche secondo la legge degli USA. Nel caso Frye vs. US (1923) fu messo in discussione l'utilizzo del poligrafo come "macchina della verità": la Corte ritenne che nuove tecniche scientifiche non potessero essere utilizzate in assenza di generale accettazione delle stesse da parte della "comunità scientifica rilevante". Riguardo al caso Daubert vs. Merrill Dow Pharmaceuticals, Inc. (1993), la Corte ha stabilì che il cosiddetto Frye-test è in conflitto con la legge federale sulle "rules of evidence" e suggerì i seguenti criteri al fine di appurare l'ammissibilità delle teorie o tecniche in questione:
Una breve rassegna di casi giudiziari in cui era impiegata la CF potrà essere utile a chiarire meglio il ruolo che le Corti americane hanno avuto nella diffusione del metodo. La prima richiesta ad accettare in tribunale testimonianze prodotte con la CF fu avanzata nel 1992 dal Department of Social Services (DSS) di New York. Da tali testimonianze risultava che il padre abusava sessualmente della figlia, pertanto il DSS domandava che Jenny Storch, ragazza con autismo non-verbale, fosse allontanata dai genitori. L'organo competente a deliberare, la New York Family Court (Ulster Country), indisse un'udienza preliminare per stabilire se la tecnica fosse attendibile, ossia se fosse accettata dalla comunità scientifica (questa procedura, nella legislazione americana, prende il nome di Frye hearing). La corte consultò una serie di esperti: medici, psicologi, psichiatri, educatori, neurologi, "speech and language pathologists", i quali pervennero alla conclusione che il metodo della CF non aveva raggiunto un livello ragionevole di credibilità in ambito scientifico (Matter of the Department of Social Services o/b/o Jenny Storch v. Mark and Laura Storch, 156 Misc. 2d 393, 593 N.Y.S. 2d 142, 144. Family Court, Ulster Country, 1992). Similmente, un giorno dopo la delibera sul caso Storch, la Family Court od Onondaga Country (N.Y.), dopo aver consultato diverse figure professionali in vari ambiti della comunità scientifica, reputò che la CF non fosse una tecnica al momento attendibile per poter costituire una prova in un processo per violenza sessuale (Matter of M.Z., 155 Misc. 2d 564, 590 N.Y.S. 2d 390. Family Court of Onondaga Country, 1993). Nel caso di Pepole v. Webb (157 Misc. 2d 474, 597 N.Y.S. 2d 565. Co. Ct., Lawr. Co., 1993), la corte permise invece che l'accusante testimoniasse con il supporto della CF, a condizione che il facilitatore indossasse auricolari da cui era trasmesso rumore bianco, così da rendergli impossibile udire le domande e prevenire quindi un influenzamento da parte sua. L'atteggiamento del sistema giudiziario americano riguardo alla CF si può riassumere in questi punti:
Successivamente apparvero sul tema alcune rassegne, tra cui la ricerca condotta da un gruppo di ricercatori del programma Child Abuse Refferal and Evaluation (CARE) del SUNY Health Science Center di Syracuse, NY (Botash, et al., 1994 cit. in Morton, 1995) da cui risultò che su un totale di 1096 denunce di abuso, valutate fra il gennaio 1990 ed il Marzo 1993, 13 erano quelle in cui era coinvolto l'uso della CF. Gli Autori della ricerca sostengono che le accuse prodotte via CF vanno valutate con molta cautela in quanto potrebbero arrecare danno a persone innocenti. Considerano pertanto non prudente tentare di confutare o confermare la attendibilità delle accuse, prodotte via CF, tramite la validazione della CF stessa. A questo proposito, Simonsen (1995 cfr. sito FCI) commenta le osservazioni di Rimland (1992) su un caso di denuncia, tramite CF, di abuso sessuale in cui l'Autore riporta che successivamente il facilitato ha comunicato di aver avanzato tale accusa, per gelosia, verso un membro dello staff dell'istituto che frequentava. Simonsen conclude che se un ragazzo adirato calunnia qualcuno di violenza sessuale, non viene messa in dubbio la sua intelligenza, mentre quando viene smentita un'accusa prodotta con l'ausilio della CF, si tende a screditare sia le comunicazioni precedentemente elaborate che lo stesso metodo della CF. Aggiunge inoltre che non v'è ragione per cui un facilitatore dovrebbe "far scrivere" al facilitato di aver subito molestie sessuali. Simonsen prosegue, in riferimento alla puntata di Frontline, contestando il peso dato alle accuse di molestia sessuale quando si parla di CF criticando come la confutazione dell'accusa venga assimilata ad una presunta confutazione della stessa CF (Stavis 1994; Simonsen, 1995). Biklen afferma che nulla dimostra che esista una diversa proporzione tra i disabili che affermano di aver subito un abuso sessuale e poi non se ne trova riscontro, e le persone non disabili che fanno denunce dello stesso tipo. In entrambi i casi alcune accuse potrebbero essere infondate, ed altre semplicemente impossibili da provare. L'Autore propone inoltre un sistema per verificare in questo conteso se i messaggi appartengono effettivamente al facilitato: è sufficiente chiedere a quest'ultimo di riscrivere l'accusa, ma assistito da un altro facilitatore non a conoscenza di essa (Biklen, 1996a). Ribadisce come non sia corretto affermare che le Corti americane rifiutano testimonianze fornite con il metodo della CF, poiché, secondo una disposizione della Supreme Court Appellate Division di New York, la capacità di comunicare con la CF dei testimoni, va valutata caso per caso. A riprova di questo cita il processo di Randall in Wichita Eagle (30 e 31 marzo 1993), in cui l'imputato fu dichiarato colpevole e la denuncia era stata effettuata con la CF (Biklen, 1996a). Anche Phipps ed Ells (1995 cit. in Biklen, 1996) ritengono che le comunicazioni prodotte tramite CF vadano analizzate caso per caso in quanto testimonianze di questo tipo si distinguono da quelle ottenute attraverso l'ipnosi e dal test della "macchina della verità" perché nel caso della CF è possibile stabilire chi è l'autore della comunicazione. Paragonando la figura del facilitatore a quella di un traduttore Phipps ed Ells affermano che va innanzitutto attestata la sua competenza attraverso la seguente procedura:
Inoltre, gli Autori, riferendosi alle recenti ricerche (Cardinal, 1994; Olney, 1995; Sheean e Mattuozzi, 1996; Weiss, Wagner e Bauman, 1996) di validazione della CF, sottolineano l'importanza di una familiarizzazione del facilitato alle condizioni di test e della somministrazione di prove ripetute, poiché è emerso come un soggetto riesca a comunicare con la CF un giorno, ma non necessariamente il giorno successivo. Attenzione particolare, secondo Phipps ed Ells, va prestata affinché l'ambiente del test sia familiare e sensibile alle esigenze delle persone con autismo.
bibliografiaAmerican Psychiatric Association (APA) Berger C.L. (1993) Biklen D. (1990) Biklen D. (1992) Biklen D. (1993) Biklen D. (1993a) Questions and Answers about Facilitated Communication. Facilitated Communication Digest, 2 (1), 1014. Biklen D. (1995) Biklen D. (1996a) Biklen D. (1996b) Biklen D. e Schubert A. (1991) Bligh S., Kupperman P. (1993) Bomba C., O'Donnell L., Markowitz C. Holmes D.L. (1996)
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