biblioteca multimediale autismo | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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I TESTI DEI FACILITATI SVOLGONO LE FUNZIONI DI LINGUA PARLATA?Cenciarelli I., 1999
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characteristics of 'orality' |
source |
associated with fc? |
---|---|---|
Used to regulate social interactions |
Westby, 1985; Hildyard e Hidi, 1985; Chafe, 1985 |
YES |
Topic usually here and now |
Westby; Rubin, 1987 |
? |
Familiar words; repetitive syntax
and ideas |
Westby; Rubin |
? |
Intonation and non-verbal cues
important for cohesion and conveying meaning |
Westby; Tannen, 1985; Hildyard e Hidi; Wallach, 1990 |
No |
Usually has fragmented quality |
Chafe; Redeker, 1984 |
? |
Rapid rate contributes to dysfluencies |
Chafe |
No |
Usual lack of permanence |
Chafe |
depends on device |
Listeners often give immediate
feedback |
Redeker; Rubin |
Yes |
Tab. 2: relazione tra 'literacy' e cf
characteristics of 'literacy' |
source |
associated with fc? |
---|---|---|
Slow, deliberate process because
of mechanical constraints |
Chafe, 1985; Rubin, 1987 |
YES |
No need to worry about keeping
the listener's attention |
Chafe |
NO |
Often abstract or unfamiliar
topics |
Westby, 1985 |
? |
Concise use of syntax and ideas |
Westby |
? |
Cohesion based on linguistic
markers |
Westby; Tannen, 1985 |
? |
Can be polished and perfected
before it is read |
Hildyard e Hidi, 1985; Chafe; Redeker, 1984; Rubin, 1987 |
YES AND NO |
Integrated quality |
Chafe; Redeker; Westby; Rubin |
? |
Usually detached spatially and
temporally from readers |
Chafe; Redeker; Westby; Rubin |
YES AND NO |
Visually permanent |
Chafe; Redeker; Rubin |
depends on device |
(Janzen-Wilde, 1993).
Si potrà ora approfondire l'analisi utilizzando come parametri quelli proposti da Halliday (1985) e da Berruto (1993).
Ecco di seguito riportati alcuni esempi di self-report di persone con queste cartatteristiche.
Tutti e tre i testi citati fanno parte di racconti autobiografici degli stessi autori. Evidentemente questo lavoro implica il mettersi a scrivere in una situazione di concentrazione su se stessi. Che vi sia stato un processo di revisione delle bozze lo si intuisce dalla scorrevolezza e coerenza del testo, che si presenta con un carattere tendenzialmente ipotattico, ossia costruito secondo proposizioni in rapporto di subordinazione (Halliday, 1985 ed. it. 1992: 155).
Sono assenti le indicazioni sul contesto in cui i testi sono stati prodotti. D'altro canto non sembra essercene bisogno: veicolano già tutte le informazioni necessarie alla loro comprensione e nulla sembra implicito.
La punteggiatura divide abbastanza bene le unità grammaticali e di significato.
Anche se in maniera non eclatante si può vedere anche un certo grado di nominalizzazione: "si distorcevano senza preavviso", "un rumore quasi assordante", nell'esempio a); "i benefici acquisiti", nell'esempio b).
Tenendo presente che ci si trova comunque di fronte ad una traduzione dalla lingua originale, si può tuttavia riscontrare anche l'uso di forme verbali non all'indicativo, ipotizzando che in ogni caso la traduzione rifletta un andamento stilistico paragonabile a quello del testo originale: un congiuntivo ("mi ferissero") in a) e un condizionale ("non dovrebbero") in b).
E' anche riscontrabile una certa "distanza comunicativa", nell'accezione di Koch e Koch-Oesterreicher (1986, 1990 entrambi cit. in Berruto 1993: 38-39), dovuta con tutta probabilità allo stile descrittivo di tutti e tre i testi. Bisogna però usare cautela nel formulare questa ipotesi, dato che non bisogna dimenticare che gli autori dei testi sono affetti da autismo o da Sindrome di Asperger e pertanto l'impressione di "distanza" potrebbe anche essere in relazione alle difficoltà che queste persone hanno nella gestione dell'emozione e del contatto interpersonale.
Anche se con queste riserve, gli elementi osservati finora sembrano tutti convergere verso una interpretazione abbastanza univoca: i testi presi in considerazione si possono attribuire con tutta probabilità alla lingua scritta.
Ecco ora quattro testi ottenuti con il metodo della CF. Prima di presentare i brani, sarà bene anticipare che il testo b) non è pubblicato: si tratta di un testo prodotto a Roma nel 1998 da un bambino con tratti autistici di circa 9 anni insieme alla suo facilitatore abituale.
a) "non ti va che sono davvero triste quando manca una perla[?] sono così deluso perché tutti hanno dei dubbi se scrivo tutto da solo l'hanno detto quelli del centro e io l'ho nel cosiddetto studio c'era persino un'insegnante anche una psicologa io ero nell'altra stanza e riuscivo a sentire tutto" (Sellin, 1993 ed. it. 1995: 20).
b) " RIPREBNDIMI UUMIL,MENTE MI SENTO JNON BENE
COME IL ESOL-ITO
IOO HNON RIUSCIVO A CONTROLLARE MENO
DEL SOLITIO I MUOVIMENTI DI TUTTO IL
CORPICI INO DA VVERO MI SONO SPAVENT
SATISSIMO I O NON LO èPOTREI DIRE D SE
LO FAcEVA BWENE O Male quella
schifwezza di metilglicina" (1998).
c) facilitatore: "What did Jim want to buy?"
facilitato: "JIM WANTEDBBBGUN" (Weiss, Wagner, Bau-
man, 1996).
d) Facilitator. "What was your thinking in the years before anyone knew who you really were? How did you cope?"
Mark: "got rewarded. got crazy. retarded feared. just heresy
that your greater thinking hurt. just heresy that your goofy
kind of thoughts got rewarded. got deadened. not grew. great
reward not. just hoping kill kill, get rhid of"
Facilitator. "Get rid of what?"
Mark: "the problem. get rhid of the problem. Retarded hurt."
Facilitator. "Please say more. I want to understand exactly
what you mean by 'retarded hurt.'"
Mark: "word."
Facilitator. "What word?"
Mark: "retarded word hurt. just you think about [it]. Felt
girded then. freed from retarded now."
Facilitator. "Freed means?"
Mark: "let loose. flying. great" (Lapos, 1997).
I testi appena visti hanno un importante aspetto in comune: sono tutti rivolti ad un interlocutore (il facilitatore) e sono stati ottenuti in una situazione di interazione, di solito a due. Come risulta evidente, soprattutto nel testo b) i testi presentano diversi errori di digitazione e, in generale si può dire che non siano stati rielaborati. Ciò però non è completamente vero: come già osservato anche da Janzen-Wilde (1993), in alcuni casi, con l'aiuto del facilitatore, vengono effettuate delle correzioni, vengono, se necessario, aggiunti gli spazi tra le parole o un minimo di punteggiatura, si cancellano le lettere ripetute. Riguardo l'ultimo testo, nel quale la comunicazione del facilitato può sembrare più "pulita" che negli altri tre, l'autrice stessa ci informa che "Mark is not one to willingly spend time correcting or editing his communication. So, at this point I summarized my impression of what he had typed. It was as you read it above." (Lapos, 1997). Non sempre è facile quindi stabilire se un testo prodotto da un facilitato sia stato rielaborato o meno. Ma questo aspetto può passare in secondo piano quando si considera che praticamente nessuno dei testi riportati è completamente comprensibile in tutti suoi significati, se visto isolatamente. Nell'esempio a) una nota a piè di pagina nel testo originale si è resa necessaria per chiarire che con il termine "perla" Sellin intendeva dire "biglia"; nell'esempio b) non è facile capire che con la frase iniziale il bambino acconsente ad essere ripreso con una videocamera e successivamente passa ad esporre gli effetti indesiderati di un farmaco (la metilglicina) dal lui assunto precedentemente; nei testi c) e d), poi, si è reso necessario riportare anche le affermazioni del facilitatore, perché le parole dei facilitati acquistassero senso. Il testo c), tratto dalla ricerca sperimentale di Weiss, Wagner e Bauman (1996), è un esempio di come si presenta spesso un testo scritto con la CF e non modificato (le esigenze di oggettività dell'esperimento non lo permettevano). L'aspetto che risalta di più è perciò il fatto che in questi i testi non tutta l'informazione è veicolata dalle parole del facilitato: queste vanno inserite nel contesto in cui sono state prodotte, per acquisire senso. Nell'esempio d) si può vedere come neanche il facilitatore sia certo di quel che il facilitato intenda dire, tanto che gli chiede chiarimenti sui termini usati. Le informazioni sul contesto appaiono qui di fondamentale importanza.
Le frasi risultano brevi ed hanno un andamento frammentario e per aggiunte successive, in particolare negli esempi a) e d). Tutt'altro che lineari, quindi, questi testi presentano un carattere essenzialmente parattatico (Halliday, 1985 ed. it. 1992: 155), cioè costituito da proposizioni giustapposte o in rapporto di coordinazione.
La punteggiatura è praticamente assente in tutti e quattro i testi, se si eccettua l'ultimo, che però è stato rielaborato dal facilitatore. Si può anche individuare un caso di parola ripetuta ("kill") in d) e, nel testo a), un termine ("cosiddetto", riferito ad un sostantivo di uso comune) paragonabile a quelli che nel parlato sono utilizzati come intercalare o come "marchingegno verbale 'prenditempo'" (Castellani Pollidori, 1990: 225 cit. in Berruto, 1993: 44). Va però usata particolare cautela in affermazioni del genere, perché restano per ora sconosciute le modalità e i meccanismi alla base del pensiero di persone con autismo. Quanto detto va quindi collocato nella prospettiva di un'area tematica da indagare e da approfondire, altrimenti rischierebbe di essere una mera illazione.
Nel testo d) sono presenti molte omissioni tipiche del parlato informale inglese. In realtà, dal un punto di vista della correttezza grammaticale, si sarebbe dovuto avere: "(I) got rewarded. (I) got crazy. (I) feared (being) retarded. (it is) just (an) heresy that your greater thinking hurt...".
Il numero di verbi è abbastanza elevato in tutti e quattro i testi: solo nella frase di Mark riportata appena sopra se ne contano 8; quelli presenti nel testo a) sono 12, e sono ancora 8 quelli nel testo b). la scelta dei modi verte sull'indicativo, coniugato ai tempi presente, del passato prossimo e dell'imperfetto.
Il concetto di "vicinanza comunicativa", così come è inteso da Koch e Koch-Oesterreicher (1986, 1990 entrambi cit. in Berruto, 1993: 38-39) sembra potersi riferire a tutti i testi presi in considerazione, tranne forse per c), che comunque è stato prodotto in un contesto specifico in cui veniva richiesta una particolare informazione su un evento che non riguardava direttamente il soggetto.
La maggior parte degli elementi presi in considerazione finora converge verso l'ipotesi che i testi prodotti con la CF siano da considerarsi linguaggio parlato, e non scritto.
E' certamente vero che alcuni aspetti della CF sono più simili alla comunicazione scritta, piuttosto che parlata e sarà bene considerarli più in dettaglio.
Dagli elementi considerati finora, scaturisce l'ipotesi che la CF sia una possibile variante della lingua parlata, come è per esempio il linguaggio dei segni utilizzato dai sordomuti che, pur essendo molto diverso nella forma dalla lingua parlata usuale, poiché utilizza un canale sensoriale visivo, anziché acustico, tuttavia svolge con successo funzioni analoghe a quest'ultima (Halliday, 1985 ed. it. 1992: 179-180).
Nel considerare l'eventualità che anche la CF sia una variante della lingua parlata usuale, potrebbe essere utile un'indagine più approfondita delle implicazioni che ne deriverebbero sia per quanto riguarda l'oggetto di studio, sia per quanto riguarda la metodologia adatta ad accostarsi ad esso.
Ad un'analisi più attenta dell'ipotesi formulata, risulta di una certa rilevanza il paradigma di ricerca utilizzato per studiare il fenomeno. Se infatti della CF vengono studiati in particolare i messaggi digitati e si considera questi ultimi come indicatori della validità del metodo, ci si espone al rischio di trattarli come prodotti (così come lo intende Halliday, 1985), prescindendo dal contesto in cui essi sono stati espressi. Di più: al fine di isolarli, si utilizzano accorgimenti che modificano la situazione in cui la CF ha luogo allo scopo di tenere sotto controllo variabili diverse dalla variabile dipendente scelta.
Secondo l'ipotesi che si sta considerando, invece, i messaggi digitati potrebbero essere l'espressione di un processo (sempre nell'accezione di Halliday, 1985), ed è quest'ultimo che andrebbe indagato, senza tentare di isolarne singole parti, snaturandole così del loro significato, definibile invece solo se messo in relazione con il contesto adeguato che, nel caso specifico, potrebbe essere una seduta di CF classica, o meglio: uno spontaneo dialogo tra facilitatore e facilitato.
La precedente affermazione va ulteriormente problematizzata: il processo in questione infatti non si esaurirebbe in una singola seduta di CF. La tecnica della CF prevede infatti un cammino che copre un periodo relativamente lungo della vita di una persona, fatto di nuove acquisizioni che passo passo dovrebbero portare l'individuo a comunicare in maniera sempre più autonoma, fino al raggiungimento della scrittura indipendente (Biklen, 1993, 1993a, 1995, 1996a).
Aspetti così complessi del fenomeno non sembrano studiabili con ricerche che in una o poche sessioni valutino i punteggi di gruppi di soggetti a singole prove (Blight e Kupperman, 1993; Bomba, O'Donnell, Markowitz, Holmes, 1996; Cabay, 1994; Eberlin, Connachie, Ibel, Volpe, 1994; Hudson, Melita, Arnold, 1993; Klewe, 1993; Moore, Donovan, Hudson, 1993; Moore Donovan, Hudson, Dykstra, Lawrence, 1993; Regal, Rooney, Wandas, 1994; Smith, Haas, Belcher, 1994; Vàzquez, 1994).
Inoltre le esigenze di setting sperimentali del genere portano a strutturare situazioni che potrebbero forzare il processo che s'intende studiare entro confini che non gli sono propri, trasformandolo in qualcosa di diverso da ciò che ci si era proposti inizialmente di indagare; oppure potrebbero non lasciare tempo sufficiente a far sì che gli effetti del fenomeno siano osservabili.
Da quanto detto fin qui, il paradigma più adeguato per lo studio della CF, in un'ottica che consideri i messaggi digitati come parte non isolabile di un processo, sembra essere quello delle ricerche longitudinali su casi singoli o piccoli gruppi di soggetti. Questo tipo d'indagine permette anche di adeguare il disegno sperimentale ai mutamenti di situazione che in un lungo periodo di tempo sono pressoché inevitabili. Una prospettiva del genere sembra essere particolarmente vantaggiosa, se si considera che nel caso specifico potrebbe essere maggiormente auspicabile adattare il disegno di ricerca all'oggetto di studio, piuttosto che il contrario. Si ricorda che con questa affermazione si vuole intendere che, imponendo vincoli di natura strutturale (per esempio le diverse tecniche di screening) o metodologica (come il concentrare l'osservazione sui messaggi digitati, tralasciando altri importanti fattori) allo studio di un processo, si rischia di alterare il sistema in qualche sua parte, col risultato però di cambiarlo nella sua totalità e di trovarsi pertanto di fronte ad un fenomeno diverso da quello che si voleva osservare. Si potrà concludere quindi con Watzlavick, Beavin e Jackson che "ogni parte di un sistema è in rapporto con le parti che lo costituiscono che qualunque cambiamento in una parte causa un cambiamento in tutte le parti e in tutto il sistema. Vale a dire, un sistema non si comporta come un semplice composto di elementi indipendenti, ma coerentemente come un tutto inscindibile" (1967 ed. it. 1971: 118).
Non va nemmeno dimenticato però che è importante essere a conoscenza del maggior numero di variabili implicate e, se possibile, misurarle, evitando tuttavia di intervenire su di esse modificandole, per le ragioni già viste. Solo così ci si potrà avvicinare agli standard di oggettività richiesti per una ricerca valida, in modo da non esporsi alle critiche, fondate, mosse finora alle osservazioni di tipo naturalistico ed etologico, indicate da alcuni Autori come aneddotiche e "pseudo-scientifiche" (Jacobson, Mulick, Schwartz, 1995).
Ciò significa mettere a punto griglie di osservazione sufficientemente strutturate, la cui validità sia da verificarsi in situazioni reali.
In questa direzione sembra muoversi la ricerca di Grayson ed Emerson (1996), che si sono limitati a riprendere con una videocamera le normali sedute di CF, senza dare al facilitato o al facilitatore nessuna consegna in particolare e senza utilizzare prove che, trattando i messaggi digitati come dati, fossero volte a verificare chi fosse effettivamente l'autore dei messaggi. Oltre a Duchan (1995), anche Halliday a questo proposito afferma che "ciò che accade nel dialogo è che i parlanti hanno in comune la produzione del discorso" (Halliday, 1985 ed. it. 1992: 160).
Le sequenze videoregistrate da Grayson ed Emerson sono state successivamente sottoposte ad un'analisi sistematica in base ad una griglia di osservazione messa a punto induttivamente da Grayson e Grant (1995) in ricerche precedenti. In questo modo fu possibile tenere sotto controllo degli indicatori (come lo sguardo del facilitato e del facilitatore alla tastiera o al display con le lettere, oppure l'iniziativa del soggetto di cancellare lettere digitate per errore) che, presi nel loro insieme, convergevano verso la possibilità che il soggetto fosse l'autore dei messaggi (Grayson e Emerson, 1996).
Un aspetto importante è come il sostegno si sia spostato, durante il corso della ricerca, dalla mano all'avambraccio del soggetto, fino ad arrivare ad un semplice contatto delle dita del facilitatore con questo. Con il diminuire del livello di sostegno diventa sempre meno probabile l'ipotesi di influenza (nel senso negativo del termine) da parte del facilitatore.
La ricerca in questione tuttavia lascia alcune perplessità. La più rilevante è che i risultati non sembrano sufficientemente quantificati e sono espressi più in forma di commento che di dato. Oltre a questo, non sono specificati i momenti temporali in cui si verificavano variazioni nel sostegno; non vengono fornite informazioni specifiche riguardo chi fosse il facilitatore, né le sue competenze in merito; non è esplicitato da quanto tempo facilitato e facilitatore lavorassero insieme.
E' bene specificare che l'intento non era quello di proporre la ricerca di Grayson ed Emerson come una sorta di "modello ideale" a cui fare riferimento. Quello che interessava, era mettere in evidenza un aspetto interessante del lavoro citato, fermi restando tutti i suoi limiti: e cioè il tentativo di strutturare il più possibile lo strumento d'indagine adattandolo nello stesso tempo ad un approccio globale, adeguato al tipo di situazione che si intende studiare, cercando di intervenire in senso manipolatorio sul minor numero possibile di variabili così da non alterare sostanzialmente il processo nel suo insieme.
Un disegno di ricerca che preveda una fase di testing e poi un successivo follow-up, potrebbe non risultare adeguato ad indagare il fenomeno così come è stato descritto in questa sede: si analizzerebbero infatti due momenti separati di un continuum che non sembra essere, nel suo insieme, costante e immutabile, così come non lo è la comunicazione verbale nella quale, la chiarezza dei messaggi, la comprensione, i riferimenti al contesto variano e si può tentare di spiegarli solo all'interno di una visione d'insieme. In altre parole, con un disegno sperimentale che preveda un follow-up non vi sarebbe nessuna garanzia di star prendendo in considerazione momenti significativi dell'intero processo.
Per concludere, ecco riportata un'interessante considerazione di Ashby (1956, cit. in Watzlavick, Beavin, Jackson 1967 ed. it. 1971: 118-119): "la scienza, in un certo senso, si trova oggi di fronte a un bivio. Per due secoli ha studiato sistemi che sono intrinsecamente semplici o possono essere analizzati scindendoli in componenti semplici. Il fatto che un dogma come: 'i fattori devono essere variati uno alla volta' abbia potuto essere accettato per un secolo, dimostra soprattutto che gli scienziati hanno studiato soprattutto dei sistemi che permettevano l'uso di un simile metodo. Si tratta però di un metodo che spesso è assolutamente inapplicabile nel caso di sistemi complessi", e la CF sembra essere uno di questi.
Come si è visto, i testi dei facilitati assolvono ad una funzione ben diversa da quelli di "autistici dotati" (che possono considerarsi effettivamente "scritti"): essi si svolgono all'interno di un contesto relazionale, di comunicazione tra interlocutori, hanno pertanto le caratteristiche della comunicazione parlata, e il fatto che spesso si presentino "stampati su un foglio di carta" è da attribuirsi al sistema utilizzato per superare l'ostacolo che le persone affette da autismo non utilizzano la voce per parlare. Questo non implica tuttavia che non siano in grado di "parlare" attraverso un altro mezzo.
E' importante però non cadere preda di facili suggestioni: non si vuole assolutamente implicare che "la CF funziona": il problema della sua validità resta aperto e non si può prescindere dai dati sperimentali sfavorevoli finora accumulati.
Il motivo per cui si sono presi in considerazione per l'analisi testi di facilitati, senza porsi il problema di chi ne fosse realmente l'autore, è che la finalità era di valutare la loro funzione all'interno di una situazione. Un problema del genere è 'sovraordinato' a quello della validità del metodo, e soltanto chiarito il primo si può pensare di mettere a punto un disegno adatto a studiare il secondo.
Questo dimostra quanto sia importante definire una chiara cornice metodologica all'interno della quale collocare gli elementi considerati, perché è in base a come viene eseguita quest'operazione che scaturiranno delle relazioni fra parti che daranno significato al lavoro nel suo insieme.
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