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ANALISI DELLA LETTERATURA IN MERITO ALLA COMUNICAZIONE FACILITATACenciarelli I., Mona A., 1999
Il presupposto teorico di uno dei due approcci principali allo studio della CF, quello naturalistico-osservativo, è che il fenomeno non sia studiabile al di fuori del contesto in cui normalmente si verifica, per cui le ricerche sperimentali, per la finalità stessa di porsi come obiettivo primario la validazione del metodo, costituirebbero una situazione incompatibile con il verificarsi stesso della CF. Ciò non implica che la tecnica non sia studiabile scientificamente, ma solo che è necessario analizzarla nel suo ordinario svolgersi. A partire dalle prime pubblicazioni sull'argomento (Biklen, 1990) le ricerche favorevoli alla CF sono state strutturate in forma "aneddotica", attraverso storie di facilitati o trascrizioni di messaggi da loro prodotti da cui, mediante una spiegazione e contestualizzazione degli stessi, prendevano forma ipotesi sul funzionamento e la validità della tecnica, fino anche a nuove teorie in merito all'autismo e al ritardo mentale (Biklen 1990; 1992; 199; 1993a; Borthwick, 1993; Cadei, 1996; Crossley, 1992, 1993, Hill e Leary, 1993, Maurer, 1992 cit. in Borthwick, 1993; Crossley, 1988 cit. in Cadei, 1996; Kelso e Tuller, 1981; Miller, 1985; Maurer, 1992, cit. in Biklen 1993a). Uno degli aspetti che maggiormente colpisce è come, a dispetto dei numerosi dati sperimentali a sfavore della CF, almeno in una prima fase, questa si sia ugualmente diffusa, prima negli Stati Uniti, e poi in Europa e in Italia, grazie a persone fermamente convinte della sua validità nonostante le ripetute smentite provenienti dal mondo accademico. Si potrebbe osservare con Vazquez et al. (1995b) che ciò sarebbe da attribuire alla diversa visione che i sostenitori della CF propongono dell'autismo e degli altri disturbi della comunicazione: un deficit di natura espressiva dovuto probabilmente ad un'aprassia che danneggia la motricità volontaria, lasciando però intatte le facoltà intellettive (Biklen, 1990; Crossley, 1988 cit. in Cadei, 1996; Cadei, 1996; Borthwick, 1993). Non c'è bisogno di dilungarsi sull'impatto emotivo di queste ipotesi su genitori che per anni hanno vissuto nella rassegnata convinzione che loro figlio fosse affetto da un ritardo mentale senza possibilità di recupero. Si potrebbero pertanto inserire in questa cornice i ripetuti appelli alla cautela da parte degli autori di ricerche sperimentali, intenzionati a mettere in guardia da allettanti quanto pericolose illusioni, contraddette però dai dati quantitativi raccolti (Green, 1994; Jacobson Mulick Schwartz, 1995; Rimland, 1992 cit. in Simonsen 1995; Vazquez 1995a, 1995b). Dell'impostazione naturalistico-osservativa veniva soprattutto criticata l'apparente confusione di livelli logici dovuta alla pretesa di dimostrare l'appartenenza dei messaggi ai facilitati attraverso l'analisi del contenuto dei messaggi stessi. Con un'analogia abbastanza colorita, che tuttavia è stata proposta da alcuni Autori (Dillon, 1993; Green, 1994), si potrebbe paragonare quest'errore metodologico a quello per cui, nelle sedute spiritiche, la presenza (e l'esistenza) dell'anima del defunto sarebbe dimostrata dai messaggi prodotti attraverso il medium per mezzo delle Ouija boards, tavole su cui si trovano lettere che vengono indicate in vari modi (muovendo un bicchiere, per esempio) dal medium stesso così da formare parole o pensieri, appartenenti però allo spirito da cui in quel momento egli sarebbe "posseduto". E' interessante notare, similmente alla CF, la tendenza ad attribuire i messaggi ad un'entità diversa dal medium in quanto "scritti" con un linguaggio diverso da quello abituale di quest'ultimo e in quanto riferiti a fatti di cui egli si suppone non sia a conoscenza. Un altro importante aspetto in comune con la tecnica: i fallimenti delle prove di laboratorio vengono spiegati con la presenza nel contesto sperimentale di persone scettiche, a causa delle quali il fenomeno non può verificarsi. Tornando però al dibattito sulla validazione della CF, la questione non si è però conclusa a questo punto, ed anzi si può affermare che forse furono proprio i dati sperimentali in principio negativi a dare nuovo impulso ad un ulteriore approfondimento degli studi sulla tecnica. Alle prime pubblicazioni scientifiche sull'argomento (Hudson, Melita, Arnold, 1993; Intellectual Disability Review Panel, 1989; Moore, Donovan, Hudson, 1993; Moore, Donovan, Hudson, Dykstra, Lawrence, 1993; Smith, Belcher, 1993) seguirono infatti numerose critiche dei sostenitori dell'approccio naturalistico-osservativo, che vertevano essenzialmente sull'artificialità dei setting sperimentali a causa della quale l'espressione delle competenze dei facilitati sarebbe stata inibita (Biklen 1993, 1993a, 1995, 1996a; Crossley, 1993; Duchan, 1995;). Alle ricerche sperimentali condotte, alcuni Autori contestano inoltre la validità esterna: i risultati ottenuti nei setting altamente controllati non sono generalizzabili ad altre situazioni perché si verificherebbe il cosiddetto "experimental realism" (Aronson e Carlsmith, 1968 cit. in Duchan, 1995), ossia una realtà peculiare della situazione sperimentale che confina la validità dei risultati a se stessa (Silliman, 1995). Questo fenomeno è altrimenti noto come effetto Hawthorne (Silliman, 1995; Duchan, 1995). Viene pure contestato l'utilizzo di disegni a doppio cieco, dato che questi alterano significativamente l'ordinario svolgersi degli incontri di comunicazione facilitata. E' stata anche criticata la mancanza nella quasi totalità degli studi sperimentali di un'accurata analisi degli errori: per esempio, letta la parola automobile, non è del tutto scorretto scrivere veicolo (Duchan, 1995). Tuttavia, ad un iniziale irrigidimento delle posizioni dei diversi Autori su due fronti contrapposti seguirono, da parte degli stessi, piccoli aggiustamenti nei disegni di ricerca che tentavano di volta in volta di tener conto in maniera costruttiva delle critiche poste ai lavori precedenti. Col tempo gli esperimenti progettati sono diventati maggiormente accurati e complessi: alle prime procedure con facilitatore non al corrente dello stimolo somministrato al facilitato, sono state sostituite procedure di doppio cieco (double-blind), strutturate in base a 3 condizioni comprendenti stimoli somministrati solo al facilitato e stimoli somministrati anche al facilitatore, di cui metà uguale a quelli del facilitato e metà diversa. Il facilitatore non sa in quale delle condizioni si trovi. Tale procedura è utile per la misura dell'influenza del facilitatore sul messaggio attribuito al facilitato poiché, se la risposta corrisponde allo stimolo visto dal facilitatore, ma non dal facilitato, è evidente che l'autore del messaggio è il facilitatore stesso (Wheeler et al., 1993 cit. in Jacobson et al., 1995). Di cruciale importanza risulta come gli articoli fortemente critici verso la CF apparsi intorno al 1995 (Green, 1994; Jacobson Mulick Schwartz, 1995; Rimland, 1992 cit. in Simonsen 1995; Vazquez 1995a, 1995b) non abbiano significato una resa da parte dei sostenitori del metodo, al contrario: si è assistito ad un fiorire di repliche, ed in particolare di ricerche sperimentali condotte dai sostenitori della CF (Grayson, Emerson, 1996; Grayson e Grant 1995; Marcus, 1998; Sheehan, 1996). Come afferma Crossley la ricerca, a quel punto, si è orientata verso l'identificazione dei fattori che potevano inibire le performance dei soggetti sperimentali. E' un cambio di livello logico importante: non si tratta più soltanto di ricerche sulla validazione del metodo ma di studi sul modo adeguato di condurre tali ricerche. E' con questo intento che sono stati esaminati "la natura delle prove, il training del facilitatore e del facilitato, le esperienze del facilitatore e del facilitato nell'essere sottoposti a test di validazione. Contemporaneamente alcuni ricercatori stanno valutando le comunicazioni prodotte tramite facilitazione con un approccio longitudinale, che consente di valutare i prodotti a lungo termine dei facilitati nel corso del tempo e con diversi facilitatori, ciò in contrapposizione al singolo test in un singolo giorno e con un singolo facilitatore" (Crossley, 1994). Ciò ha portato, negli anni successivi, alla pubblicazione di ricerche sulla validazione della CF, basate su una nuova impostazione, i risultati delle quali differivano rispetto a quelli del lustro precedente. Cardinal (Cardinal e Hanson, 1994; Cardinal, 1995 cit. in Kliewer, 1995) ha effettuato uno studio sulla validazione durato oltre 15 mesi, con 43 soggetti (11-21 anni) con diagnosi che vanno dall'autismo al ritardo mentale. L'obiettivo era il progetto di un esperimento sulla validità della CF che favorisse anziché sopprimere la comunicazione. Accurati testing quasi-sperimentali di "mini-protocolli" hanno consentito di implementare un protocollo veramente sperimentale, da cui è risultato che, dopo la sesta settimana di allenamento e durante una o più sessioni, il 53% dei soggetti digitava correttamente (ossia senza alcuna lettera sbagliata, in meno o in più) una parola non vista dal facilitatore almeno 2 volte su 5, il 35% vi riusciva 2 volte su 5 durante una o più sessioni, mentre il 32% otteneva il risultato di 4 su 5. Cardinal ritiene quindi dimostrato che la coppia facilitato-facilitatore è in grado di produrre messaggi di cui è autore esclusivamente il facilitato, ed inoltre che la dimostrazione di ciò può avvenire a condizione non solo che l'ambiente sia quello abituale per il facilitato, ma anche che vi sia un training alla stessa condizione di test, effettuato tramite prove ripetute con test analoghi, prima di prendere le misure (Cardinal, Hansen, Wakehan, 1997). Se infatti si confrontano i punteggi più alti della baseline 1 con la prestazione del giorno del test, le differenze non sono di solito significative, come già dimostrato da studi precedenti (Bligh e Kupperman, 1993; Hudson, Melita, e Arnold, 1993; Klewe, 1993; Moore, Donovan, e Hudson, 1993; Moore, Donovan, Hudson, Dykstra, e Lawrence, 1993; Shane, 1993; Wheeler et al., 1993). Queste differenze si vedono invece confrontando i punteggi più alti della baseline 1 con i più alti di tutti i facilitati, dopo che questi hanno fatto pratica. Viene anche menzionata da Crossley una ricerca in cui a seguito di allenamento alla situazione di test, 4 soggetti, precedentemente ritenuti affetti da grave ritardo mentale, hanno tutti dimostrato di essere in grado di passare informazioni sconosciute al facilitatore (Berger, C., e Ramsden, J.,1994 cit. in Crossley, 1994). Questo nuovo filone di ricerche si distingue dal precedente per i continui adattamenti delle procedure all'oggetto di studio, piuttosto che il contrario, con l'intento di alterarlo il meno possibile, ferme restando le esigenze di controllo e di misurabilità delle variabili. Si ricorda che questi studi forniscono informazioni non solo sulla validità della CF, ma anche sull'adeguatezza del modo stesso di condurre la ricerca. In quest'ottica s'inserisce anche l'indagine di Olney sulla validazione della CF non con prove di naming object o describing activity, bensì con giochi di parole al computer, con l'obiettivo di incrementare la validità di facciata del test. Il facilitatore ed il video erano posizionati in modo tale che il facilitatore non potesse collaborare attivamente nella soluzione dei giochi. (Olney, 1994 cit. in Crossley, 1994) Descrivendo le attività intraprese dal Facilitated Communication Institute, Biklen (1993a) menziona la progettazione di uno studio a doppio cieco implicante giochi al computer: così si intendeva aiutare le persone a rilassarsi quando venivano messe alla prova le loro competenze comunicative. Dal punto di vista del tipo di somministrazione una buona accuratezza è presente nell'esperimento di Veale (Veale, 1995 cit. in Kliewer, 1995). I soggetti di questo esperimento (7 con età variabile fra i 9 ed i 30 anni) dovevano trasmettere informazioni su un oggetto o su una azione, di cui il facilitatore non era a conoscenza. Gli stimoli (oggetti ed azioni) erano somministrati in una fra otto differenti modalità, e il soggetto veniva sottoposto a nove prove, in ognuna delle quali un ricercatore forniva un differente tipo di suggerimento al facilitato (evitando che anche il facilitatore potesse avvantaggiarsene). I risultati della ricerca mostrano che tutti i partecipanti erano in grado di comunicare informazioni sconosciute al facilitatore anche in assenza di suggerimento. Inoltre solo alcuni tipi di suggerimento si sono rivelati fruttuosi: il poter guardare lo stimolo o il poterlo percepire. La vista dello stimolo rendeva più probabile che questo venisse nominato, mentre la somministrazione di input uditivi era correlato con minore successo nel passaggio di informazione. Di particolare interesse è il lavoro svolto da Grayson e collaboratori (Grayson e Grant, 1995; Grayson e Emerson, 1996), sempre orientato a raccogliere dati a due livelli: sia sulla validità della CF, sia sulla validità degli strumenti impiegati a tale scopo. Il lavoro è articolato in due ricerche successive collegate. Nella prima (Grayson e Grant, 1995) gli Autori hanno individuato una serie di indicatori comportamentali da cui è possibile inferire se vi sia direttività o semplice contenimento nei comportamenti del facilitatore, e quindi chiarire chi sia l'autore dei messaggi. La procedura consisteva in un'accurata analisi di videoregistrazioni di interazioni di CF simulate da soggetti senza alcun disturbo. Ai facilitatori si chiedeva di essere direttivi o di sostenere semplicemente il braccio del facilitato. Dal confronto delle videoregistrazioni gli autori poterono individuare specifici movimenti del capo, delle braccia e delle mani indicanti l'appartenenza dei messaggi. Nella seconda ricerca (Grayson e Emerson, 1996). Si passò allo studio di sedute reali di CF con un facilitato affetto da autismo. Le videoregistrazioni furono analizzate utilizzando gli stessi indicatori comportamentali individuati nella ricerca precedente dai quali risultò che i messaggi si potevano in gran parte attribuire al facilitato. Secondo Drake (1996a), questo tipo di ricerca si distingue sia da quelle "aneddotiche" solitamente portate a sostegno della CF, sia da quelle "toccata e fuga" degli sperimentalisti. Ciò è in linea con le intenzioni di Grayson, il quale ritiene che entrambi i metodi di studio del fenomeno CF siano indispensabili a far luce sulla sua effettiva natura: solo col tempo l'Autore ipotizza il raggiungimento di un appianamento delle controversie (Grayson, Emerson, 1996).
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