|
|
ricerca
nel sito motori di rierca
|
|
|
|
|
documenti nella sezione
|
|
|
breve storia
del concetto di autismo
(cenciarelli i., mona a., 1999)
eziologia
dell'autismo: modello cognitivo e teoria della mente
(cenciarelli i., mona a., 1999)
eziologia
dell'autismo: modello comportametale
(cenciarelli i., mona a., 1999)
eziologia
dell'autismo: modello organicista
(cenciarelli i., mona a., 1999)
eziologia
dell'autismo: modello psicodinamico
(cenciarelli i., mona a., 1999)
eziologia
dell'autismo: modello sistemico-relazionale
(cenciarelli i., mona a., 1999)
il concetto di
autismo in bleuler, kanner, e asperger
(p. g., 1996)
l'autismo
e le psicosi infantili: l'approccio psicodinamico e le problematiche relative
al contesto familiare ed educativo
(soriente c., 1994)
la diagnosi
secondo l'equipe di treviso
(angsa treviso, tratto da 'autismo triveneto', 1999)
|
|
|
indietro
| inizio
|
|
|
L'AUTISMO E LE PSICOSI INFANTILI: L'APPROCCIO PSICODINAMICO E
LE PROBLEMATICHE RELATIVE AL CONTESTO FAMILIARE ED EDUCATIVO
Introduzione
Scopo di questo lavoro è di offrire una sintesi dei contributi
elaborati in questi ultimi anni, in differenti ambiti teorici, sull'autismo
e sulle psicosi infantili.
Tutte le più recenti ricerche su questo tema sembrano evidenziare
il ruolo predominante dei fattori psicogeni nello sviluppo di una
patologia psicotica infantile. Tale acquisizione non esclude, comunque,
il fatto che le psicosi infantili siano connesse ad un intricato
e complesso incontro di fattori legati da un lato alle problematiche
di un organismo in evoluzione e dall'altro alle caratteristiche
del contesto ambientale in cui tale evoluzione procede. In ogni
caso non possono essere tralasciate anche le posizioni delle teorie
organicistiche, sviluppatesi di recente soprattutto negli Stati
Uniti, e che individuano una tipologia di autismo infantile che
si determina su base organica, legata quindi ad una patologia cerebrale,
sulla natura della quale esistono diverse ipotesi[1].
Nel presente lavoro verranno presi in considerazione
soprattutto studi di orientamento più specificamente psicodinamico[2],
che individuano l'origine delle psicosi e dell'autismo infantile
nell'alterazione della relazione madre-bambino in fasi precoci dello
sviluppo.
Accanto all'analisi di questi studi, inoltre,
si pone l'attenzione su teorie sviluppatesi più di recente, che,
nell'approccio alle psicosi infantili, tendono a privilegiare lo
studio dell'intero ambiente relazionale nel quale procede lo sviluppo
psicologico del bambino.
Contributi del modello psicodinamico
Nell'ambito della tradizione della Psicologia
dell'Io americana, si colloca Margaret Mahler, la quale sottolinea
il ruolo dell'Io nello sviluppo del processo di adattamento con
la realtà esterna.
Margaret Mahler, partendo dall'osservazione
delle prime fasi dello sviluppo psichico del bambino, descrive quella
che definisce la "nascita psicologica", evento realizzabile
grazie ad una graduale differenziazione da parte del bambino fra
il Sé e il non-Sé, nel processo in cui impara a pensare la madre
come oggetto esterno separato da sé. Per la Mahler "l'isolamento
e le altre manifestazioni della sindrome psicotica autistica richiamano
alla mente quello stadio di completa non-differenziazione tra l'Io
e l'Es, tra il Sé e il mondo oggettuale, che si ritiene sia predominante
nel neonato fino alla fine del secondo mese di vita"[3]
e che rappresenta la fase autistica normale.
Durante questa fase il bambino non è in grado
di utilizzare l'oggetto d'amore primario vivente, giacché manca
in lui la consapevolezza dell'agente delle cure materne.
In seguito, però, tra madre e bambino si
stabilisce una relazione simbiotica e il bambino si comporta come
fosse un tutt'uno con questa.
Partendo da tale analisi, che pone al centro
l'osservazione delle fasi normali dello sviluppo infantile, Mahler
arriva a definire una distinzione fra l'autismo infantile e le psicosi
simbiotiche. Infatti tali patologie, secondo la Mahler, sono collegate
a momenti diversi del processo evolutivo.
Nell'autismo infantile il bambino non ha
alcuna percezione della madre e quindi del mondo esterno. Egli sembra
organizzato per mantenere e consolidare la barriera allucinatoria
negativa che caratterizza la prima settimana di vita, quando si
deve difendere da una stimolazione sensoriale troppo viva. Sembra
che per il bambino autistico la madre non esista come "un faro
vivente di orientamento nel mondo della realtà".[4]
La psicosi simbiotica diventa invece clinicamente
evidente quando viene messo in discussione il legame con la madre,
come nel caso di separazione reale. Per lottare contro le ansie
di annientamento che ne derivano, il bambino tende a mantenere la
relazione simbiotica, rinforzando meccanismi difensivi come la proiezione,
la negazione e l'introiezione, e rifugiandosi all'interno del legame
simbiotico nel quale prova sentimenti di onnipotenza.
Donald Winnicott ha dato un notevole contributo
alla teoria generale sui processi dello sviluppo, secondo un'ottica
che tiene conto sia dello sviluppo naturale e normale del bambino
che di quello psicopatologico. Egli assume una posizione particolare
all'interno della Società Psicoanalitica Britannica. Di fatto pur
non allontanandosi dalla teoria freudiana, ne dà tuttavia una visione
molto personale e ne rielabora alcuni concetti.
Winnicott ha sempre rifiutato qualsiasi collocazione
culturale, ritenendo che ogni caso clinico comporti una modalità
di intervento specifica. Ad ogni modo egli riveste un ruolo intermedio
nella tradizione psicoanalitica, situandosi tra la scuola di Anna
Freud e quella di Melanie Klein.
Winnicott definisce la psicosi come "un
disturbo di deficienza ambientale"[5],
che comporta un deterioramento nel funzionamento del Sé e quindi
un prodotto della inadeguatezza dei genitori.
Egli, dunque, attribuisce un significato
particolare ai processi di separazione dei primi mesi di vita, introducendo
il concetto di "fase transizionale" che si colloca tra
il momento in cui il bambino è incapace di accettare la realtà e
il mondo esterno, per le ansie di annientamento che ne derivano,
e il momento in cui inizia la sua attitudine crescente a farlo.
Nella prima fase la madre sostiene un ruolo essenziale poiché in
base alla "preoccupazione materna primaria" è in grado
di adattarsi sufficientemente ai bisogni del bambino, promuovendo
in lui il "sentimento della continuità dell'essere"[6].
Nella fase in cui il bambino sperimenta la
disillusione e dunque la separazione dalla madre, per Winnicott,
le rotture affettive, inevitabili nella continuità delle cure, non
dovrebbero essere vissute dal bambino come annullamento del Sé.
Ma grazie all'attitudine materna dovrebbero condurre alla consapevolezza
fra il "Sé emergente" e l'altro da Sé. La psicosi infantile
per W. si inserisce proprio in questo delicato momento di transizione,
laddove per le carenze materne, il bambino sente la minaccia di
annientamento da parte delle stimolazioni dell'ambiente e può trovarsi
nell'incapacità di stabilire relazioni con la realtà esterna.
Winnicott, dunque, attribuisce un significato
molto importante al concetto di fase transizionale. Egli individua
un ruolo preponderante, per lo sviluppo del disturbo psicotico,
nel momento di passaggio fra una prima fase evolutiva caratterizzata
dall'inconsapevolezza del bambino della propria esistenza come separata
dall'altro, ed una seconda fase in cui tale consapevolezza emerge
come distinzione fra sé e l'altro da sé.
Un altro studio molto interessante in ambito
psicoanalitico è quello svolto da Donald Meltzer, appartenente alla
scuola kleiniana, il quale in base all'elaborazione del materiale
clinico individua come caratteristiche dei bambini autistici aspetti
quali l'essere "gettati" in uno spazio non proprio e alieno,
l'estraneità, la vacuità e il dolore. Entro questo singolare spazio-tempo
e quale perpetuazione, i bambini autistici vivono quel fenomeno
che Meltzer ha definito "smantellamento", in virtù del
quale un bambino incapace di contenimento, perché mai contenuto,
realizza una condizione in cui il suo desiderio si traduce nella
scomposizione dell'oggetto, così che una sola delle componenti di
quest'ultimo viene a catturare una sola di quelle della sensorialità
smantellata del bambino.
Da questo punto di vista l'autismo infantile
è dunque caratterizzato dalla difficoltà di differenziare il dentro
dal fuori del Sé, l'interno dall'esterno degli oggetti, la tendenza
a fondersi con una sola delle componenti dell'oggetto per sopperire
all'incapacità di filtrare i dati sensoriali e di trattenere i contenuti
mentali di un oggetto esterno, l'assenza dello spazio interno del
Sé e dell'oggetto, il fallimento della funzione primaria di contenimento.
Il bambino autistico vive in un mondo unidimensionale,
in uno stato privo di mente. Descrivere lo sviluppo di patologie
così complesse, come l'autismo e le psicosi infantili, risulta particolarmente
oneroso sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista clinico.
Elaborare teorie in quest'ambito è arduo per l'inadeguatezza dei
termini e dei procedimenti logici a confrontarsi con un processo
che va al di là della nostra logica e delle nostre leggi, e che
appartiene al primordiale, al preverbale, alla sensorialità, aspetti
ai quali sembra forse più facile collegarsi attraverso le metafore
e l'immaginazione, piuttosto che col pensiero critico.[7]
Tali difficoltà ad entrare in relazione con questi bambini viene
sottolineata da Meltzer quando afferma che "il terapeuta si
trova ad affrontare un problema emotivo, quello di abbandonare il
proprio mondo a tre dimensioni, di spogliarsi della propria esperienza
per entrare in un mondo privo di significato e di processi mentali"[8].
Negli ultimi anni la ricerca nel campo dell'autismo
e delle psicosi infantili si è arricchita di un contributo notevole
proveniente dalla Scuola Psicoanalitica Inglese, in particolare,
all'interno di questa, da parte di Frances Tustin, che si è occupata
con un interesse sempre maggiore di fasi dello sviluppo infantile
molto precoci.
Tustin afferma che le psicosi infantili e,
in modo particolare l'autismo, sarebbero legate, sia ad un difetto
delle cure da parte della madre, sia ad un'incapacità di far buon
uso della figura materna da parte del bambino.[9]
Si verifica così una rottura troppo precoce
del legame madre-bambino, in un'epoca in cui il bambino non è in
grado di fronteggiare tale separazione, vissuta come una rottura
della continuità corporea o addirittura come una perdita di una
parte del proprio corpo. Il bambino utilizza allora delle protezioni
manipolatorie e reattive, non concettualizzate e basate essenzialmente
sulle sensazioni del proprio corpo per costruirsi un bozzolo protettivo
(quelli che F. Tustin definisce gli "oggetti autistici")[10].
La situazione di "holding" viene
dunque spezzata precocemente e il bambino inerme è lasciato solo
a sostenere ansie intollerabili. In queste condizioni il piccolo
tende a usare il suo stesso corpo come se fosse quello della madre,
e quello della madre come se fosse il suo, non riesce a procurarsi
la protezione di una continuità illusoria, ma rimane indifferenziato
o confuso con lei[11].
Sempre nell'ambito delle teorie psicoanalitiche
sullo sviluppo infantile, elaborate a partire dalla ricostruzione
del materiale clinico, si sono affermati recentemente nuovi ambiti
di ricerca sull'osservazione diretta delle primissime fasi evolutive.
In tale prospettiva è da inquadrare il notevole
contributo che Esther Bick ha fornito intorno all'osservazione diretta
della coppia madre-bambino[12],
che ella considera come un processo attraverso il quale l'osservatore
apprende, tramite l'esperienza, a percepire le caratteristiche e
le modificazioni di una relazione colta nello stato nascente.
La metodologia dell'"infant observation",
se in principio ha costituito un elemento di controversia all'interno
della teoria psicoanalitica classica[13],
di recente viene inserita nei programmi di formazione di psicoanalisti
e psicoterapeuti infantili sia in Inghilterra che in Italia e viene
considerata come un vero e proprio addestramento al percepire psicoanalitico,
che non sostituisce l'esperienza analitica personale ma ne costituisce
una premessa e un arricchimento.
Dalla riflessione sul materiale ricavato
dall'osservazione dei lattanti la Bick procede ad una distinzione
tra uno stato primario di non-integrazione vissuto dal bambino come
esperienza di totale impotenza e uno stato di disintegrazione caratterizzato
da processi di scissione sviluppati come difese al servizio dello
sviluppo.
Nello stato di non-integrazione il bambino
sarebbe alla ricerca di un oggetto che possa svolgere la funzione
di mantenere unite le componenti della personalità non ancora differenziate
dal corpo.
Secondo la Bick l'oggetto contenente viene
vissuto come una pelle e diviene indispensabile per lo sviluppo
dei processi di identificazione e successivamente di scissione primaria
ed idealizzazione del Sé e dell'oggetto, quali vengono descritti
da Melanie Klein.
La funzione di contenimento permette lo sviluppo
dell'introiezione e la capacità di elaborare uno spazio interno
al Sé che si differenzia dal mondo esterno. Uno sviluppo non adeguato
di questa funzione primaria della pelle, potrebbe condurre ad una
confusione di identità nell'evoluzione della personalità. Il disturbo
di tale funzione può derivare sia da carenze dell'oggetto esterno,
la madre, sia da attacchi fantasmatici contro di esso che ne impediscono
l'introiezione.
Un tale evento potrebbe condurre alla formazione
di una "seconda pelle"[14]
in cui la dipendenza dall'oggetto viene sostituita da una falsa
dipendenza, utilizzando in maniera inadeguata funzioni mentali,
come sostituti nella funzione di contenimento della pelle.
Lo sviluppo di una "seconda pelle"
viene considerato come un elemento caratterizzante l'esperienza
di alcuni bambini psicotici. Tustin, rifacendosi alle ipotesi della
Bick, ritiene che i bambini autistici vivano il proprio corpo, e
la pelle che ne costituisce la copertura, come ferito dalla esperienza
della separazione dal corpo della madre. Ne consegue lo sviluppo
di una "seconda pelle" che genera l'incapsulamento autistico.
Anche autori quali Giannotti e De Astis[15]
sono concordi nel ritenere che il ruolo della relazione madre-bambino
sia fondamentale per un adeguato sviluppo psicologico di quest'ultimo.
In particolare secondo questi autori l'arresto dello sviluppo psichico
nelle psicosi infantili può avvenire in una tappa molto precoce,
precedente allo sviluppo dell'attaccamento alla figura materna o
successivamente attraverso un processo di regressione. Inoltre pongono
l'attenzione anche al momento della nascita, che può essere vissuto
con modalità catastrofiche sia dal bambino che dalla madre. In questo
contesto la madre deve essere in grado di contenere le angosce primordiali
del bambino, di elaborarle e offrirle a lui con modalità rassicuranti
e proporsi come "schermo protettivo" nei confronti di
un ambiente troppo ricco di stimoli.
L'impossibilità di poter accedere a tali
capacità della madre pone il bambino in situazioni in cui viene
bombardato da stimoli percepiti dirompenti, verso i quali organizza
una barriera difensiva per mezzo di manovre autistiche quali le
stereotipie, l'isolamento e l'ecolalia che sono estremamente rigide
e non permettono il suo sviluppo.[16]
L'ambiente di vita dei bambini con autismo
o psicosi infantile
Da questa sintetica panoramica sulle recenti
teorie sull'autismo infantile psicogeno in ambito prettamente psicodinamico
si evidenzia come il centro dell'osservazione diagnostica nella
comprensione del funzionamento autistico dei bambini è stato fino
ad oggi essenzialmente basato sulla relazione madre-bambino.
Esistono accanto a questi contributi anche
ricerche che attribuiscono un ruolo preponderante all'intera famiglia
del bambino psicotico, in particolare alla qualità delle prime interazioni
verbali e non verbali organizzate fra i genitori e il bambino subito
dopo la nascita.
In questo senso risulta utile riferire le
osservazioni effettuate da un lato sul significato rivestito dalla
figura paterna nell'ambiente primario del bambino[17],
e dall'altro descrivere le ricerche svolte sugli aspetti preverbali
del linguaggio nelle psicosi precoci[18].
Carratelli et al., pur riconoscendo il ruolo
essenziale rivestito dalla figura materna nelle prime interazioni
con il neonato, insistono però anche sull'importanza del padre,
il quale sin dal primo momento del concepimento, assume un posto
centrale nella funzione genitoriale.
Anche se non partecipa all'esperienza di
fusionalità, che la madre ha con il bambino durante la gestazione,
il padre partecipa in maniera attiva alla funzione di "maternage"
modulando gli affetti e le emozioni nelle relazioni primarie, sulla
base anche delle "esperienze/sensazioni" che ha vissuto
nella vita intrauterina. Questo processo risulta efficace se sussiste
un buon funzionamento delle "identificazioni crociate"
nella coppia genitoriale, facilitando un'unione più sintonica con
il bambino.
Sul piano psicopatologico si ritiene che
il funzionamento autistico del bambino sia l'espressione di un "maternage"
fallimentare dovuto al riattualizzarsi di una relazione negativa
primitiva della madre con il proprio oggetto primario che il bambino,
con il suo modo di essere, con il suo ritardo spesso maturazionale,
contribuisce in qualche modo ad attivare.
Gli autori qui menzionati ipotizzano che
"anche per il padre ci sia stata un'analoga esperienza primaria
fallimentare, per cui, nel momento in cui il figlio lo convoca in
quest'area di funzionalità arcaica egli possa trovarsi a rivivere
regressivamente una condizione in cui l'attrazione e l'angoscia
concomitante verso uno stato di non differenziazione è quanto mai
intensa e dolorosa"[19].
La chiusura del bambino in un funzionamento autistico può risultare
da un doppio fallimento del rispecchiamento e della rêverie sia
materna che paterna in quanto entrambi i genitori, sia pure con
stili diversi, non sono in grado di offrire al bambino un adeguato
sostegno affettivo relativo all'esperienza dell'essere. In questo
senso gli autori ritengono che nell'autismo e nelle psicosi infantili,
non è più la relazione madre-bambino ad essere al centro dell'osservazione,
ma i patterns comunicativi del sistema genitori-bambino secondo
una prospettiva tridimensionale. L'ambiente primario risulta dalla
presenza della madre e del padre che con i loro affetti e con i
loro oggetti inanimati, sviluppano un tipo di interazione con il
bambino che non sempre risulta rassicurante e soddisfacente.
Alcune ricerche basate sullo studio dello
sviluppo del linguaggio nelle psicosi precoci ipotizzano che l'assenza
del linguaggio verbale nei bambini autistici possa derivare dalla
carenza nella prima fase dello sviluppo di comunicazione preverbale,
in particolare di aspetti quali il pointing e la lallazione,
entrambi modulati e utilizzati dalla madre nell'interazione con
il suo bambino.
Il pointing che rappresenta il gesto
dell'indicare, compare nel bambino normale fra i 12 e 18 mesi ed
ha carattere di intenzionalità comunicativa. Da un lato è considerato
un prerequisito del futuro linguaggio verbale e simbolico, dall'altro
lato ha un significato centrale nello sviluppo del Sé, poiché il
puntare il dito implica il riconoscimento e l'accettazione della
distanza tra sé e l'oggetto desiderato e quindi la riduzione della
onnipotenza. Quando al gesto dell'indicare si accompagna la verbalizzazione
si origina un meccanismo per cui il bambino accetta e riconosce
la distanza tra dito e oggetto desiderato e nel bambino normale
è segno che ha acquisito la consapevolezza del sé e del non-sé.
Il bambino autistico non utilizza il gesto dell'indicare ma al suo
posto compare l'uso della mano dell'altro.
Tustin, le cui ipotesi sull'autismo infantile
sono state precedentemente delineate, spiega che tale processo viene
sviluppato quando il bambino non ha avviato oppure rifiuta, perché
troppo dolorosa, la separazione del suo corpo da quello della madre
e dunque utilizza le parti di quel corpo come se fossero un prolungamento
del suo. Prendere la mano dell'altro può essere considerato come
un risultato dell'identificazione adesiva: il bambino autistico
si "incolla" all'altro includendolo in un sé senza fine
e utilizza questa nuova appendice come un prolungamento di sé.
Anche la lallazione viene considerato
come un aspetto che assume un carattere altamente comunicativo,
soprattutto dopo i 7-9 mesi quando il bambino tenta di produrre
gruppi di suoni appartenenti al sistema fonologico della lingua
modello e referenziale. Questo processo presuppone un lavoro di
integrazione intellettiva che include la capacità di fare attenzione
e di comprendere il discorso degli altri.
Secondo F. Tustin i bambini psicotici non
"giocano" con i suoni che scaturiscono naturalmente da
predisposizioni innate ma producono invece suoni idiosincratici,
creati da sé senza nessun significato comprensibile.
Quindi dai risultati delle ricerche in tale
ambito risulta che la lallazione e il pointing possono
essere allo stesso tempo una spia d'allarme e segnali positivi nell'evoluzione
del bambino psicotico, sia sul piano linguistico sia su quello più
generale della personalità.
Tali considerazioni aprono alcune prospettive
innovative circa le proposte terapeutiche, poiché si ritiene sempre
più urgente, all'interno di una cornice psicoterapeutica, un intervento
inerente a stimoli pedagogici e di promozione cognitiva. In questa
angolazione il lavoro che svolgono gli insegnanti nelle scuole,
gli educatori e i terapeuti nei centri di riabilitazione che accolgono
i bambini autistici e psicotici, acquista un suo ruolo specifico
e diventa utile riflettere su di esso.
La ricerca psicopedagogica più avanzata ha
oggi una dimensione interdisciplinare in cui esiste una relazione
tra ambito pedagogico, pratica educativa e ambito clinico.[20]
Dalle recenti ricerche emerge dunque un suggerimento
circa l'opportunità, nel lavorare con i bambini psicotici e autistici,
di ridefinire gli obiettivi e i metodi di intervento, dal momento
che essi non utilizzano gli stessi strumenti cognitivi e comunicazionali
propri di uno sviluppo normale. L'obiettivo che gli operatori educativi
si propongono non coincide con la "guarigione" di questi
bambini; rappresenta invece il cercare di comprendere la loro problematica
modalità di essere, provare forme di comunicazione e di lavoro,
tentando di pervenire a modificazioni del comportamento e, soprattutto,
entusiasmandoli per qualcosa da scoprire, arricchendo la funzionalità
cognitiva e la conoscenza del mondo.
Tuttavia nonostante queste nuove indicazioni
di fondo resta comunque arduo individuare le dimensioni fondanti
il lavoro educativo con i bambini psicotici, poiché, nell'operatore
coinvolto nella relazione, viene minata l'identità personale, ossia
il Sé.[21] Infatti le maggiori
difficoltà incontrate dagli operatori educativi si evidenziano nello
svolgere la funzione di contenimento e di restituzione rielaborata
delle proiezioni del bambino. Gli ostacoli a mantenere stabili le
dimensioni fondanti il lavoro educativo possono comportare per gli
operatori esperienze di immagine di Sé vissute come troppo ampie,
disorganizzatrici del Sé, rispetto alle quali mettere in opera attività
più difensive che adattative.
L'incontro con il paziente psicotico diventa
quindi un momento in cui si rende necessario per l'operatore rivedere,
riconoscere, assumere aspetti di sé, come emozioni, sensazioni,
idee, fantasie, azioni, relativi ai propri limiti, ai propri compiti
a volte non piacevoli sul piano degli affetti. In questo senso vengono
proposte agli operatori strutture di aiuto al pensiero, alla costruzione
di significati dell'esperienza lavorativa, volte a rendere meno
oneroso il lavoro che si va sperimentando.
Conclusioni
L'analisi delle impostazioni teoriche, fin
qui condotte, sull'autismo e le psicosi infantili, suggerisce un'attenta
riflessione sull'opportunità di porre una maggiore attenzione all'intero
ambiente di vita del bambino psicotico.
Diventa estremamente utile proporre, in primo
luogo, accanto al lavoro psicoanalitico individuale, un intervento
diretto alla coppia genitoriale. Infatti l'esperienza clinica pone
in evidenza come il grave disturbo psichico sia, a volte, l'epifenomeno
di una particolare situazione affettiva familiare, la quale necessita
di una più adeguata ristrutturazione e ricomposizione.
Questo tipo di riflessione non può escludere
la fecondità degli studi sviluppati in ambito pedagogico sull'importanza
dell'inserimento dei bambini psicotici in contesti educativi, come
la scuola.
L'attenzione all'aspetto educativo nella
prospettiva terapeutica e psicoanalitica era già presente in A.
Freud e M. Klein, ma solo recentemente la ricerca pedagogica ha
assunto una dimensione interdisciplinare, in cui esiste relazione
fra ambito pedagogico, pratica educativa e ambito clinico.
In questo senso si può comprendere come l'assunzione
da parte degli insegnanti e degli educatori della funzione di contenimento
e di rielaborazione in modo riparatorio dalle proiezioni del bambino
psicotico contribuisce in quest'ultimo allo sviluppo dell'apparato
per apprendere dall'esperienza.
note
1. Una descrizione completa delle teorie organicistiche
elaborate intorno alle psicosi infantili è presente in: S. LEBOVICI
- R. DIAKTINE - M. SOULÉ (1985), Traité de psychiatrie de l'enfant
et de l'adolescent, Presses Universitaires de France, Paris,
trad. it. Trattato di psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza,
Roma, Borla, 1990; G. SPINA - A. LANZA (1990), Aggiornamento
e revisione critica sulle ricerche relative all'autismo e alle psicosi
infantili, Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza,
vol. 57, pp. 211-227; D. MARIANI CERATI - P. VISCONTI (1990), L'autismo
infantile, Nuovi Argomenti di Medicina, vol. 6, Ndeg.
3, pp. 149-161.
2. In quest'ambito sono state elaborate diverse
teorie, le quali saranno delineate nel presente scritto. Queste
sono collegate ad un'unica matrice psicoanalitica, derivante da
un lato dal modello di A. Freud e di quello americano della Psicologia
dell'Io di E. Jacobson, M. Mahler, e dall'altro da quello inglese
di Melanie Klein. Una elaborazione dettagliata dei differenti approcci
si ritrova in: S. VEGETTI FINZI (1986), Storia della psicoanalisi,
Mondadori, Milano.
3. M. MAHLER - F. PINE - A. BERGMAN (1975),
The Psychological Birth of the Human Infant Symbiosis and Individuation,
Basic Books, New York, trad. it. La nascita psicologica del bambino,
Bollati Boringhieri, 1978, p. 75.
4. M. MAHLER (1968), Infantile Psychosis,
New York: International Universities Press, trad. it. Psicosi
infantili, Bollati Boringhieri, 1975.
5. D. W. WINNICOTT (1958), Through Paediatrics
to Psycho-Analysis, London, Hogart Press, trad. it. Dalla
pediatria alla psicoanalisi, Firenze, Martinelli, 1975.
6. D. W. WINNICOTT (1965), The Maturational
Processes and Faciliting Environment, New York, Int. Univer.
Press, trad. it. Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, Armando,
1970.
7. Il lavoro di Donald Meltzer ha stimolato
una serie di contributi che vanno ad aumentare la conoscenza sullo
stato autistico e post-autistico. Per un tale approfondimento si
cfr. C. BRUTTI - R. PARLANI (1988), Dall'autismo propriamente
detto al post-autismo, in Quaderni di Psicoterapia Infantile,
vol. 18, pp. 244-254.
8. D. MELTZER - J.BREMNER - S. HOXTER - D.
WEDDEL - I. WITTENBERG (1975), Explorations in Autism, Clennié,
Perth, trad. it. Esplorazioni sull'autismo: studio psicoanalitico,
Boringhieri, Torino, 1977.
9. Frances Tustin ha più volte sottolineato
l'influenza delle interazioni fra le componenti biologiche e quelle
ambientali nella genesi dell'autismo infantile; in uno dei suoi
ultimi contributi (F. TUSTIN (1990), The Protective Shell in
Children and Adults, London, Karnac Books, trad. it. Protezioni
autistiche nei bambini e negli adulti, R. Cortina, 1991) ha
trovato le cause dei fenomeni autistici in reazioni psicofisiologiche,
sollevando diverse critiche da parte di autori attenti alle nuove
ricerche. Un approfondimento di tale prospettiva è presente in:
R. MISÉS (1984), Sul testo di F. Tustin, in "Quaderni
di Psicoterapia Infantile", L'autismo infantile: bilancio
e prospettive, Roma, Borla, vol. 14, p. 72.
10. La natura degli oggetti autistici viene
puntualmente chiarita in: F. TUSTIN (1981), Autistic States in
Children, Routledge and Kegan Paul, London, trad. it. Stati
autistici nei bambini, Armando editore, Roma, 1983, pp. 89-107.
11. F. TUSTIN (1972), Autism and Childhood
Psychosis, Hogart Press, London, trad. it. Autismo e psicosi
infantile, Roma, Armando, 1975.
12. E. BICK (1964), Notes on infant observation
in psycho-analytic training, Int. J. Psycho-anal., vol.
45, pp. 558-566, trad. it. Note sull'osservazione del lattante
nell'addestramento psicoanalitico, in: S. ISAACS et al. (1989),
L'Osservazione diretta del bambino, Bollati Boringhieri,
Torino, pp. 70-89.
13. Le conoscenze psicoanalitiche sullo sviluppo
infantile sono relative, da un lato, ai dati acquisiti attraverso
la ricostruzione delle storie dei pazienti adulti, dall'altro lato,
mediante l'applicazione del metodo dell'"infant observation".
Le controversie si sono sviluppate intorno al confronto fra le due
metodologie. In particolare secondo l'approccio classico, la ricostruzione
psicoanalitica della vita mentale del bambino può risalire fino
al limite della fase verbale, tralasciando in tal modo l'esperienza
della fase preverbale, la quale diventa più accessibile attraverso
l'applicazione dell'osservazione diretta di fasi dello sviluppo
anche molto precoci. Una disamina più articolata si ritrova in:
E. GLOVER (1945), Examination of the klein system of child psychology,
The Psychoanalytic Study of the Child, vol. 1, pp. 75-118;
e in: S. ISAACS (1952), On the nature and function of phantasy,
in: M. KLEIN et al., Developments in Psychoanalysis, Hogart,
London, pp. 67-121.
14. E. BICK (1968), The experience of
the skin in early object-relations, Int. J. Psycho-anal.,
vol. 49, pp. 484-486, trad. it. in: S. ISAACS et al. (1989), L'Osservazione
diretta del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 90-95.
15. A. GIANNOTTI - G. DE ASTIS (1990), Sviluppo
atipico e psicosi, Psichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza,
vol. 52, pp. 13-17.
16. A. GIANNOTTI - G. DE ASTIS (1990), cit.
17. T. J. CARRATELLI - O. MAGGIULLI - F.
RICCERI - A. RUVUTUSO - M. SILVESTRI - S. TRAVERSA (1993), Ruolo
e funzioni del padre nelle relazioni del bambino autistico con il
suo ambiente primario: riflessioni da un setting osservativo diagnostico,
Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, vol. 60, n.
2/3, pp. 241-249.
18. F. MURATORI - I. BERNAZZANI - B. CERRI
- P. CONTI (1992), L'organizzazione preverbale del linguaggio
nelle psicosi precoci, Giornale di Neuropsichiatria dell'età
evolutiva, vol. 12, n. 12, pp. 91-101.
19. T. J. CARRATELLI et al. (1993), cit.
20. Un maggiore approfondimento di tali tematiche
si può ritrovare in: L. MASON (1984), Approccio pedagogico alla
psicosi autistica, Scuola e Città, XXXV, 11 pp. 487-491; M.
PAPINI - C. PAOLI - M. G. MARTINETTI (1989) (a cura di), Psicosi
infantili e ambiente terapeutico, Roma, Borla.
21. O. LIVERTA SEMPIO (1990), L'intervento
sul bambino psicotico: problematiche istituzionali e individuali
del lavoro educativo, Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza,
vol. 57, pp. 199-210.
|