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breve storia del concetto di autismo
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello cognitivo e teoria della mente
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello comportametale
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello organicista
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello psicodinamico
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello sistemico-relazionale
(cenciarelli i., mona a., 1999)


il concetto di autismo in bleuler, kanner, e asperger
(p. g., 1996)


l'autismo e le psicosi infantili: l'approccio psicodinamico e le problematiche relative al contesto familiare ed educativo
(soriente c., 1994)


la diagnosi secondo l'equipe di treviso
(angsa treviso, tratto da 'autismo triveneto', 1999)

 

 

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L'AUTISMO E LE PSICOSI INFANTILI: L'APPROCCIO PSICODINAMICO E LE PROBLEMATICHE RELATIVE AL CONTESTO FAMILIARE ED EDUCATIVO

Soriente C., 1994
Quaderni del Dipartimento di Scienze dell'Educazione
n. 1/2 1994 - Università di Salerno (pp 221-230)
articolo originale: http://www.unisa.it/disced/quad4/q4sorie.htm

 

 

Introduzione

Scopo di questo lavoro è di offrire una sintesi dei contributi elaborati in questi ultimi anni, in differenti ambiti teorici, sull'autismo e sulle psicosi infantili.

Tutte le più recenti ricerche su questo tema sembrano evidenziare il ruolo predominante dei fattori psicogeni nello sviluppo di una patologia psicotica infantile. Tale acquisizione non esclude, comunque, il fatto che le psicosi infantili siano connesse ad un intricato e complesso incontro di fattori legati da un lato alle problematiche di un organismo in evoluzione e dall'altro alle caratteristiche del contesto ambientale in cui tale evoluzione procede. In ogni caso non possono essere tralasciate anche le posizioni delle teorie organicistiche, sviluppatesi di recente soprattutto negli Stati Uniti, e che individuano una tipologia di autismo infantile che si determina su base organica, legata quindi ad una patologia cerebrale, sulla natura della quale esistono diverse ipotesi[1].

Nel presente lavoro verranno presi in considerazione soprattutto studi di orientamento più specificamente psicodinamico[2], che individuano l'origine delle psicosi e dell'autismo infantile nell'alterazione della relazione madre-bambino in fasi precoci dello sviluppo.

Accanto all'analisi di questi studi, inoltre, si pone l'attenzione su teorie sviluppatesi più di recente, che, nell'approccio alle psicosi infantili, tendono a privilegiare lo studio dell'intero ambiente relazionale nel quale procede lo sviluppo psicologico del bambino.

 

 

Contributi del modello psicodinamico

Nell'ambito della tradizione della Psicologia dell'Io americana, si colloca Margaret Mahler, la quale sottolinea il ruolo dell'Io nello sviluppo del processo di adattamento con la realtà esterna.

Margaret Mahler, partendo dall'osservazione delle prime fasi dello sviluppo psichico del bambino, descrive quella che definisce la "nascita psicologica", evento realizzabile grazie ad una graduale differenziazione da parte del bambino fra il Sé e il non-Sé, nel processo in cui impara a pensare la madre come oggetto esterno separato da sé. Per la Mahler "l'isolamento e le altre manifestazioni della sindrome psicotica autistica richiamano alla mente quello stadio di completa non-differenziazione tra l'Io e l'Es, tra il Sé e il mondo oggettuale, che si ritiene sia predominante nel neonato fino alla fine del secondo mese di vita"[3] e che rappresenta la fase autistica normale.

Durante questa fase il bambino non è in grado di utilizzare l'oggetto d'amore primario vivente, giacché manca in lui la consapevolezza dell'agente delle cure materne.

In seguito, però, tra madre e bambino si stabilisce una relazione simbiotica e il bambino si comporta come fosse un tutt'uno con questa.

Partendo da tale analisi, che pone al centro l'osservazione delle fasi normali dello sviluppo infantile, Mahler arriva a definire una distinzione fra l'autismo infantile e le psicosi simbiotiche. Infatti tali patologie, secondo la Mahler, sono collegate a momenti diversi del processo evolutivo.

Nell'autismo infantile il bambino non ha alcuna percezione della madre e quindi del mondo esterno. Egli sembra organizzato per mantenere e consolidare la barriera allucinatoria negativa che caratterizza la prima settimana di vita, quando si deve difendere da una stimolazione sensoriale troppo viva. Sembra che per il bambino autistico la madre non esista come "un faro vivente di orientamento nel mondo della realtà".[4]

La psicosi simbiotica diventa invece clinicamente evidente quando viene messo in discussione il legame con la madre, come nel caso di separazione reale. Per lottare contro le ansie di annientamento che ne derivano, il bambino tende a mantenere la relazione simbiotica, rinforzando meccanismi difensivi come la proiezione, la negazione e l'introiezione, e rifugiandosi all'interno del legame simbiotico nel quale prova sentimenti di onnipotenza.

Donald Winnicott ha dato un notevole contributo alla teoria generale sui processi dello sviluppo, secondo un'ottica che tiene conto sia dello sviluppo naturale e normale del bambino che di quello psicopatologico. Egli assume una posizione particolare all'interno della Società Psicoanalitica Britannica. Di fatto pur non allontanandosi dalla teoria freudiana, ne dà tuttavia una visione molto personale e ne rielabora alcuni concetti.

Winnicott ha sempre rifiutato qualsiasi collocazione culturale, ritenendo che ogni caso clinico comporti una modalità di intervento specifica. Ad ogni modo egli riveste un ruolo intermedio nella tradizione psicoanalitica, situandosi tra la scuola di Anna Freud e quella di Melanie Klein.

Winnicott definisce la psicosi come "un disturbo di deficienza ambientale"[5], che comporta un deterioramento nel funzionamento del Sé e quindi un prodotto della inadeguatezza dei genitori.

Egli, dunque, attribuisce un significato particolare ai processi di separazione dei primi mesi di vita, introducendo il concetto di "fase transizionale" che si colloca tra il momento in cui il bambino è incapace di accettare la realtà e il mondo esterno, per le ansie di annientamento che ne derivano, e il momento in cui inizia la sua attitudine crescente a farlo. Nella prima fase la madre sostiene un ruolo essenziale poiché in base alla "preoccupazione materna primaria" è in grado di adattarsi sufficientemente ai bisogni del bambino, promuovendo in lui il "sentimento della continuità dell'essere"[6].

Nella fase in cui il bambino sperimenta la disillusione e dunque la separazione dalla madre, per Winnicott, le rotture affettive, inevitabili nella continuità delle cure, non dovrebbero essere vissute dal bambino come annullamento del Sé. Ma grazie all'attitudine materna dovrebbero condurre alla consapevolezza fra il "Sé emergente" e l'altro da Sé. La psicosi infantile per W. si inserisce proprio in questo delicato momento di transizione, laddove per le carenze materne, il bambino sente la minaccia di annientamento da parte delle stimolazioni dell'ambiente e può trovarsi nell'incapacità di stabilire relazioni con la realtà esterna.

Winnicott, dunque, attribuisce un significato molto importante al concetto di fase transizionale. Egli individua un ruolo preponderante, per lo sviluppo del disturbo psicotico, nel momento di passaggio fra una prima fase evolutiva caratterizzata dall'inconsapevolezza del bambino della propria esistenza come separata dall'altro, ed una seconda fase in cui tale consapevolezza emerge come distinzione fra sé e l'altro da sé.

Un altro studio molto interessante in ambito psicoanalitico è quello svolto da Donald Meltzer, appartenente alla scuola kleiniana, il quale in base all'elaborazione del materiale clinico individua come caratteristiche dei bambini autistici aspetti quali l'essere "gettati" in uno spazio non proprio e alieno, l'estraneità, la vacuità e il dolore. Entro questo singolare spazio-tempo e quale perpetuazione, i bambini autistici vivono quel fenomeno che Meltzer ha definito "smantellamento", in virtù del quale un bambino incapace di contenimento, perché mai contenuto, realizza una condizione in cui il suo desiderio si traduce nella scomposizione dell'oggetto, così che una sola delle componenti di quest'ultimo viene a catturare una sola di quelle della sensorialità smantellata del bambino.

Da questo punto di vista l'autismo infantile è dunque caratterizzato dalla difficoltà di differenziare il dentro dal fuori del Sé, l'interno dall'esterno degli oggetti, la tendenza a fondersi con una sola delle componenti dell'oggetto per sopperire all'incapacità di filtrare i dati sensoriali e di trattenere i contenuti mentali di un oggetto esterno, l'assenza dello spazio interno del Sé e dell'oggetto, il fallimento della funzione primaria di contenimento.

Il bambino autistico vive in un mondo unidimensionale, in uno stato privo di mente. Descrivere lo sviluppo di patologie così complesse, come l'autismo e le psicosi infantili, risulta particolarmente oneroso sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista clinico. Elaborare teorie in quest'ambito è arduo per l'inadeguatezza dei termini e dei procedimenti logici a confrontarsi con un processo che va al di là della nostra logica e delle nostre leggi, e che appartiene al primordiale, al preverbale, alla sensorialità, aspetti ai quali sembra forse più facile collegarsi attraverso le metafore e l'immaginazione, piuttosto che col pensiero critico.[7] Tali difficoltà ad entrare in relazione con questi bambini viene sottolineata da Meltzer quando afferma che "il terapeuta si trova ad affrontare un problema emotivo, quello di abbandonare il proprio mondo a tre dimensioni, di spogliarsi della propria esperienza per entrare in un mondo privo di significato e di processi mentali"[8].

Negli ultimi anni la ricerca nel campo dell'autismo e delle psicosi infantili si è arricchita di un contributo notevole proveniente dalla Scuola Psicoanalitica Inglese, in particolare, all'interno di questa, da parte di Frances Tustin, che si è occupata con un interesse sempre maggiore di fasi dello sviluppo infantile molto precoci.

Tustin afferma che le psicosi infantili e, in modo particolare l'autismo, sarebbero legate, sia ad un difetto delle cure da parte della madre, sia ad un'incapacità di far buon uso della figura materna da parte del bambino.[9]

Si verifica così una rottura troppo precoce del legame madre-bambino, in un'epoca in cui il bambino non è in grado di fronteggiare tale separazione, vissuta come una rottura della continuità corporea o addirittura come una perdita di una parte del proprio corpo. Il bambino utilizza allora delle protezioni manipolatorie e reattive, non concettualizzate e basate essenzialmente sulle sensazioni del proprio corpo per costruirsi un bozzolo protettivo (quelli che F. Tustin definisce gli "oggetti autistici")[10].

La situazione di "holding" viene dunque spezzata precocemente e il bambino inerme è lasciato solo a sostenere ansie intollerabili. In queste condizioni il piccolo tende a usare il suo stesso corpo come se fosse quello della madre, e quello della madre come se fosse il suo, non riesce a procurarsi la protezione di una continuità illusoria, ma rimane indifferenziato o confuso con lei[11].

Sempre nell'ambito delle teorie psicoanalitiche sullo sviluppo infantile, elaborate a partire dalla ricostruzione del materiale clinico, si sono affermati recentemente nuovi ambiti di ricerca sull'osservazione diretta delle primissime fasi evolutive.

In tale prospettiva è da inquadrare il notevole contributo che Esther Bick ha fornito intorno all'osservazione diretta della coppia madre-bambino[12], che ella considera come un processo attraverso il quale l'osservatore apprende, tramite l'esperienza, a percepire le caratteristiche e le modificazioni di una relazione colta nello stato nascente.

La metodologia dell'"infant observation", se in principio ha costituito un elemento di controversia all'interno della teoria psicoanalitica classica[13], di recente viene inserita nei programmi di formazione di psicoanalisti e psicoterapeuti infantili sia in Inghilterra che in Italia e viene considerata come un vero e proprio addestramento al percepire psicoanalitico, che non sostituisce l'esperienza analitica personale ma ne costituisce una premessa e un arricchimento.

Dalla riflessione sul materiale ricavato dall'osservazione dei lattanti la Bick procede ad una distinzione tra uno stato primario di non-integrazione vissuto dal bambino come esperienza di totale impotenza e uno stato di disintegrazione caratterizzato da processi di scissione sviluppati come difese al servizio dello sviluppo.

Nello stato di non-integrazione il bambino sarebbe alla ricerca di un oggetto che possa svolgere la funzione di mantenere unite le componenti della personalità non ancora differenziate dal corpo.

Secondo la Bick l'oggetto contenente viene vissuto come una pelle e diviene indispensabile per lo sviluppo dei processi di identificazione e successivamente di scissione primaria ed idealizzazione del Sé e dell'oggetto, quali vengono descritti da Melanie Klein.

La funzione di contenimento permette lo sviluppo dell'introiezione e la capacità di elaborare uno spazio interno al Sé che si differenzia dal mondo esterno. Uno sviluppo non adeguato di questa funzione primaria della pelle, potrebbe condurre ad una confusione di identità nell'evoluzione della personalità. Il disturbo di tale funzione può derivare sia da carenze dell'oggetto esterno, la madre, sia da attacchi fantasmatici contro di esso che ne impediscono l'introiezione.

Un tale evento potrebbe condurre alla formazione di una "seconda pelle"[14] in cui la dipendenza dall'oggetto viene sostituita da una falsa dipendenza, utilizzando in maniera inadeguata funzioni mentali, come sostituti nella funzione di contenimento della pelle.

Lo sviluppo di una "seconda pelle" viene considerato come un elemento caratterizzante l'esperienza di alcuni bambini psicotici. Tustin, rifacendosi alle ipotesi della Bick, ritiene che i bambini autistici vivano il proprio corpo, e la pelle che ne costituisce la copertura, come ferito dalla esperienza della separazione dal corpo della madre. Ne consegue lo sviluppo di una "seconda pelle" che genera l'incapsulamento autistico.

Anche autori quali Giannotti e De Astis[15] sono concordi nel ritenere che il ruolo della relazione madre-bambino sia fondamentale per un adeguato sviluppo psicologico di quest'ultimo. In particolare secondo questi autori l'arresto dello sviluppo psichico nelle psicosi infantili può avvenire in una tappa molto precoce, precedente allo sviluppo dell'attaccamento alla figura materna o successivamente attraverso un processo di regressione. Inoltre pongono l'attenzione anche al momento della nascita, che può essere vissuto con modalità catastrofiche sia dal bambino che dalla madre. In questo contesto la madre deve essere in grado di contenere le angosce primordiali del bambino, di elaborarle e offrirle a lui con modalità rassicuranti e proporsi come "schermo protettivo" nei confronti di un ambiente troppo ricco di stimoli.

L'impossibilità di poter accedere a tali capacità della madre pone il bambino in situazioni in cui viene bombardato da stimoli percepiti dirompenti, verso i quali organizza una barriera difensiva per mezzo di manovre autistiche quali le stereotipie, l'isolamento e l'ecolalia che sono estremamente rigide e non permettono il suo sviluppo.[16]

 

 

L'ambiente di vita dei bambini con autismo o psicosi infantile

Da questa sintetica panoramica sulle recenti teorie sull'autismo infantile psicogeno in ambito prettamente psicodinamico si evidenzia come il centro dell'osservazione diagnostica nella comprensione del funzionamento autistico dei bambini è stato fino ad oggi essenzialmente basato sulla relazione madre-bambino.

Esistono accanto a questi contributi anche ricerche che attribuiscono un ruolo preponderante all'intera famiglia del bambino psicotico, in particolare alla qualità delle prime interazioni verbali e non verbali organizzate fra i genitori e il bambino subito dopo la nascita.

In questo senso risulta utile riferire le osservazioni effettuate da un lato sul significato rivestito dalla figura paterna nell'ambiente primario del bambino[17], e dall'altro descrivere le ricerche svolte sugli aspetti preverbali del linguaggio nelle psicosi precoci[18].

Carratelli et al., pur riconoscendo il ruolo essenziale rivestito dalla figura materna nelle prime interazioni con il neonato, insistono però anche sull'importanza del padre, il quale sin dal primo momento del concepimento, assume un posto centrale nella funzione genitoriale.

Anche se non partecipa all'esperienza di fusionalità, che la madre ha con il bambino durante la gestazione, il padre partecipa in maniera attiva alla funzione di "maternage" modulando gli affetti e le emozioni nelle relazioni primarie, sulla base anche delle "esperienze/sensazioni" che ha vissuto nella vita intrauterina. Questo processo risulta efficace se sussiste un buon funzionamento delle "identificazioni crociate" nella coppia genitoriale, facilitando un'unione più sintonica con il bambino.

Sul piano psicopatologico si ritiene che il funzionamento autistico del bambino sia l'espressione di un "maternage" fallimentare dovuto al riattualizzarsi di una relazione negativa primitiva della madre con il proprio oggetto primario che il bambino, con il suo modo di essere, con il suo ritardo spesso maturazionale, contribuisce in qualche modo ad attivare.

Gli autori qui menzionati ipotizzano che "anche per il padre ci sia stata un'analoga esperienza primaria fallimentare, per cui, nel momento in cui il figlio lo convoca in quest'area di funzionalità arcaica egli possa trovarsi a rivivere regressivamente una condizione in cui l'attrazione e l'angoscia concomitante verso uno stato di non differenziazione è quanto mai intensa e dolorosa"[19]. La chiusura del bambino in un funzionamento autistico può risultare da un doppio fallimento del rispecchiamento e della rêverie sia materna che paterna in quanto entrambi i genitori, sia pure con stili diversi, non sono in grado di offrire al bambino un adeguato sostegno affettivo relativo all'esperienza dell'essere. In questo senso gli autori ritengono che nell'autismo e nelle psicosi infantili, non è più la relazione madre-bambino ad essere al centro dell'osservazione, ma i patterns comunicativi del sistema genitori-bambino secondo una prospettiva tridimensionale. L'ambiente primario risulta dalla presenza della madre e del padre che con i loro affetti e con i loro oggetti inanimati, sviluppano un tipo di interazione con il bambino che non sempre risulta rassicurante e soddisfacente.

Alcune ricerche basate sullo studio dello sviluppo del linguaggio nelle psicosi precoci ipotizzano che l'assenza del linguaggio verbale nei bambini autistici possa derivare dalla carenza nella prima fase dello sviluppo di comunicazione preverbale, in particolare di aspetti quali il pointing e la lallazione, entrambi modulati e utilizzati dalla madre nell'interazione con il suo bambino.

Il pointing che rappresenta il gesto dell'indicare, compare nel bambino normale fra i 12 e 18 mesi ed ha carattere di intenzionalità comunicativa. Da un lato è considerato un prerequisito del futuro linguaggio verbale e simbolico, dall'altro lato ha un significato centrale nello sviluppo del Sé, poiché il puntare il dito implica il riconoscimento e l'accettazione della distanza tra sé e l'oggetto desiderato e quindi la riduzione della onnipotenza. Quando al gesto dell'indicare si accompagna la verbalizzazione si origina un meccanismo per cui il bambino accetta e riconosce la distanza tra dito e oggetto desiderato e nel bambino normale è segno che ha acquisito la consapevolezza del sé e del non-sé. Il bambino autistico non utilizza il gesto dell'indicare ma al suo posto compare l'uso della mano dell'altro.

Tustin, le cui ipotesi sull'autismo infantile sono state precedentemente delineate, spiega che tale processo viene sviluppato quando il bambino non ha avviato oppure rifiuta, perché troppo dolorosa, la separazione del suo corpo da quello della madre e dunque utilizza le parti di quel corpo come se fossero un prolungamento del suo. Prendere la mano dell'altro può essere considerato come un risultato dell'identificazione adesiva: il bambino autistico si "incolla" all'altro includendolo in un sé senza fine e utilizza questa nuova appendice come un prolungamento di sé.

Anche la lallazione viene considerato come un aspetto che assume un carattere altamente comunicativo, soprattutto dopo i 7-9 mesi quando il bambino tenta di produrre gruppi di suoni appartenenti al sistema fonologico della lingua modello e referenziale. Questo processo presuppone un lavoro di integrazione intellettiva che include la capacità di fare attenzione e di comprendere il discorso degli altri.

Secondo F. Tustin i bambini psicotici non "giocano" con i suoni che scaturiscono naturalmente da predisposizioni innate ma producono invece suoni idiosincratici, creati da sé senza nessun significato comprensibile.

Quindi dai risultati delle ricerche in tale ambito risulta che la lallazione e il pointing possono essere allo stesso tempo una spia d'allarme e segnali positivi nell'evoluzione del bambino psicotico, sia sul piano linguistico sia su quello più generale della personalità.

Tali considerazioni aprono alcune prospettive innovative circa le proposte terapeutiche, poiché si ritiene sempre più urgente, all'interno di una cornice psicoterapeutica, un intervento inerente a stimoli pedagogici e di promozione cognitiva. In questa angolazione il lavoro che svolgono gli insegnanti nelle scuole, gli educatori e i terapeuti nei centri di riabilitazione che accolgono i bambini autistici e psicotici, acquista un suo ruolo specifico e diventa utile riflettere su di esso.

La ricerca psicopedagogica più avanzata ha oggi una dimensione interdisciplinare in cui esiste una relazione tra ambito pedagogico, pratica educativa e ambito clinico.[20]

Dalle recenti ricerche emerge dunque un suggerimento circa l'opportunità, nel lavorare con i bambini psicotici e autistici, di ridefinire gli obiettivi e i metodi di intervento, dal momento che essi non utilizzano gli stessi strumenti cognitivi e comunicazionali propri di uno sviluppo normale. L'obiettivo che gli operatori educativi si propongono non coincide con la "guarigione" di questi bambini; rappresenta invece il cercare di comprendere la loro problematica modalità di essere, provare forme di comunicazione e di lavoro, tentando di pervenire a modificazioni del comportamento e, soprattutto, entusiasmandoli per qualcosa da scoprire, arricchendo la funzionalità cognitiva e la conoscenza del mondo.

Tuttavia nonostante queste nuove indicazioni di fondo resta comunque arduo individuare le dimensioni fondanti il lavoro educativo con i bambini psicotici, poiché, nell'operatore coinvolto nella relazione, viene minata l'identità personale, ossia il Sé.[21] Infatti le maggiori difficoltà incontrate dagli operatori educativi si evidenziano nello svolgere la funzione di contenimento e di restituzione rielaborata delle proiezioni del bambino. Gli ostacoli a mantenere stabili le dimensioni fondanti il lavoro educativo possono comportare per gli operatori esperienze di immagine di Sé vissute come troppo ampie, disorganizzatrici del Sé, rispetto alle quali mettere in opera attività più difensive che adattative.

L'incontro con il paziente psicotico diventa quindi un momento in cui si rende necessario per l'operatore rivedere, riconoscere, assumere aspetti di sé, come emozioni, sensazioni, idee, fantasie, azioni, relativi ai propri limiti, ai propri compiti a volte non piacevoli sul piano degli affetti. In questo senso vengono proposte agli operatori strutture di aiuto al pensiero, alla costruzione di significati dell'esperienza lavorativa, volte a rendere meno oneroso il lavoro che si va sperimentando.

 

 

Conclusioni

L'analisi delle impostazioni teoriche, fin qui condotte, sull'autismo e le psicosi infantili, suggerisce un'attenta riflessione sull'opportunità di porre una maggiore attenzione all'intero ambiente di vita del bambino psicotico.

Diventa estremamente utile proporre, in primo luogo, accanto al lavoro psicoanalitico individuale, un intervento diretto alla coppia genitoriale. Infatti l'esperienza clinica pone in evidenza come il grave disturbo psichico sia, a volte, l'epifenomeno di una particolare situazione affettiva familiare, la quale necessita di una più adeguata ristrutturazione e ricomposizione.

Questo tipo di riflessione non può escludere la fecondità degli studi sviluppati in ambito pedagogico sull'importanza dell'inserimento dei bambini psicotici in contesti educativi, come la scuola.

L'attenzione all'aspetto educativo nella prospettiva terapeutica e psicoanalitica era già presente in A. Freud e M. Klein, ma solo recentemente la ricerca pedagogica ha assunto una dimensione interdisciplinare, in cui esiste relazione fra ambito pedagogico, pratica educativa e ambito clinico.

In questo senso si può comprendere come l'assunzione da parte degli insegnanti e degli educatori della funzione di contenimento e di rielaborazione in modo riparatorio dalle proiezioni del bambino psicotico contribuisce in quest'ultimo allo sviluppo dell'apparato per apprendere dall'esperienza.

 

 

note

indietro 1. Una descrizione completa delle teorie organicistiche elaborate intorno alle psicosi infantili è presente in: S. LEBOVICI - R. DIAKTINE - M. SOULÉ (1985), Traité de psychiatrie de l'enfant et de l'adolescent, Presses Universitaires de France, Paris, trad. it. Trattato di psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, Roma, Borla, 1990; G. SPINA - A. LANZA (1990), Aggiornamento e revisione critica sulle ricerche relative all'autismo e alle psicosi infantili, Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, vol. 57, pp. 211-227; D. MARIANI CERATI - P. VISCONTI (1990), L'autismo infantile, Nuovi Argomenti di Medicina, vol. 6, Ndeg. 3, pp. 149-161.

indietro 2. In quest'ambito sono state elaborate diverse teorie, le quali saranno delineate nel presente scritto. Queste sono collegate ad un'unica matrice psicoanalitica, derivante da un lato dal modello di A. Freud e di quello americano della Psicologia dell'Io di E. Jacobson, M. Mahler, e dall'altro da quello inglese di Melanie Klein. Una elaborazione dettagliata dei differenti approcci si ritrova in: S. VEGETTI FINZI (1986), Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano.

indietro 3. M. MAHLER - F. PINE - A. BERGMAN (1975), The Psychological Birth of the Human Infant Symbiosis and Individuation, Basic Books, New York, trad. it. La nascita psicologica del bambino, Bollati Boringhieri, 1978, p. 75.

indietro 4. M. MAHLER (1968), Infantile Psychosis, New York: International Universities Press, trad. it. Psicosi infantili, Bollati Boringhieri, 1975.

indietro 5. D. W. WINNICOTT (1958), Through Paediatrics to Psycho-Analysis, London, Hogart Press, trad. it. Dalla pediatria alla psicoanalisi, Firenze, Martinelli, 1975.

indietro 6. D. W. WINNICOTT (1965), The Maturational Processes and Faciliting Environment, New York, Int. Univer. Press, trad. it. Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, Armando, 1970.

indietro 7. Il lavoro di Donald Meltzer ha stimolato una serie di contributi che vanno ad aumentare la conoscenza sullo stato autistico e post-autistico. Per un tale approfondimento si cfr. C. BRUTTI - R. PARLANI (1988), Dall'autismo propriamente detto al post-autismo, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, vol. 18, pp. 244-254.

indietro 8. D. MELTZER - J.BREMNER - S. HOXTER - D. WEDDEL - I. WITTENBERG (1975), Explorations in Autism, Clennié, Perth, trad. it. Esplorazioni sull'autismo: studio psicoanalitico, Boringhieri, Torino, 1977.

indietro 9. Frances Tustin ha più volte sottolineato l'influenza delle interazioni fra le componenti biologiche e quelle ambientali nella genesi dell'autismo infantile; in uno dei suoi ultimi contributi (F. TUSTIN (1990), The Protective Shell in Children and Adults, London, Karnac Books, trad. it. Protezioni autistiche nei bambini e negli adulti, R. Cortina, 1991) ha trovato le cause dei fenomeni autistici in reazioni psicofisiologiche, sollevando diverse critiche da parte di autori attenti alle nuove ricerche. Un approfondimento di tale prospettiva è presente in: R. MISÉS (1984), Sul testo di F. Tustin, in "Quaderni di Psicoterapia Infantile", L'autismo infantile: bilancio e prospettive, Roma, Borla, vol. 14, p. 72.

indietro 10. La natura degli oggetti autistici viene puntualmente chiarita in: F. TUSTIN (1981), Autistic States in Children, Routledge and Kegan Paul, London, trad. it. Stati autistici nei bambini, Armando editore, Roma, 1983, pp. 89-107.

indietro 11. F. TUSTIN (1972), Autism and Childhood Psychosis, Hogart Press, London, trad. it. Autismo e psicosi infantile, Roma, Armando, 1975.

indietro 12. E. BICK (1964), Notes on infant observation in psycho-analytic training, Int. J. Psycho-anal., vol. 45, pp. 558-566, trad. it. Note sull'osservazione del lattante nell'addestramento psicoanalitico, in: S. ISAACS et al. (1989), L'Osservazione diretta del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 70-89.

indietro 13. Le conoscenze psicoanalitiche sullo sviluppo infantile sono relative, da un lato, ai dati acquisiti attraverso la ricostruzione delle storie dei pazienti adulti, dall'altro lato, mediante l'applicazione del metodo dell'"infant observation". Le controversie si sono sviluppate intorno al confronto fra le due metodologie. In particolare secondo l'approccio classico, la ricostruzione psicoanalitica della vita mentale del bambino può risalire fino al limite della fase verbale, tralasciando in tal modo l'esperienza della fase preverbale, la quale diventa più accessibile attraverso l'applicazione dell'osservazione diretta di fasi dello sviluppo anche molto precoci. Una disamina più articolata si ritrova in: E. GLOVER (1945), Examination of the klein system of child psychology, The Psychoanalytic Study of the Child, vol. 1, pp. 75-118; e in: S. ISAACS (1952), On the nature and function of phantasy, in: M. KLEIN et al., Developments in Psychoanalysis, Hogart, London, pp. 67-121.

indietro 14. E. BICK (1968), The experience of the skin in early object-relations, Int. J. Psycho-anal., vol. 49, pp. 484-486, trad. it. in: S. ISAACS et al. (1989), L'Osservazione diretta del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 90-95.

indietro 15. A. GIANNOTTI - G. DE ASTIS (1990), Sviluppo atipico e psicosi, Psichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza, vol. 52, pp. 13-17.

indietro 16. A. GIANNOTTI - G. DE ASTIS (1990), cit.

indietro 17. T. J. CARRATELLI - O. MAGGIULLI - F. RICCERI - A. RUVUTUSO - M. SILVESTRI - S. TRAVERSA (1993), Ruolo e funzioni del padre nelle relazioni del bambino autistico con il suo ambiente primario: riflessioni da un setting osservativo diagnostico, Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, vol. 60, n. 2/3, pp. 241-249.

indietro 18. F. MURATORI - I. BERNAZZANI - B. CERRI - P. CONTI (1992), L'organizzazione preverbale del linguaggio nelle psicosi precoci, Giornale di Neuropsichiatria dell'età evolutiva, vol. 12, n. 12, pp. 91-101.

indietro 19. T. J. CARRATELLI et al. (1993), cit.

indietro 20. Un maggiore approfondimento di tali tematiche si può ritrovare in: L. MASON (1984), Approccio pedagogico alla psicosi autistica, Scuola e Città, XXXV, 11 pp. 487-491; M. PAPINI - C. PAOLI - M. G. MARTINETTI (1989) (a cura di), Psicosi infantili e ambiente terapeutico, Roma, Borla.

indietro 21. O. LIVERTA SEMPIO (1990), L'intervento sul bambino psicotico: problematiche istituzionali e individuali del lavoro educativo, Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, vol. 57, pp. 199-210.

 

 

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