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EZIOLOGIA DELL'AUTISMO: MODELLO COGNITIVO E TEORIA DELLA MENTECenciarelli I., Mona A., 1999
La mente è ciò che è posto tra cervello e comportamento, ed è a questo che fa riferimento il termine "cognitivo". Secondo una teoria di Benda (1960 cit. in Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 406), l'apparente mancanza di affettività dei bambini con autismo sarebbe piuttosto da attribuire ad un'incapacità di astrazione da cui deriverebbero le difficoltà di contatto con l'ambiente e nella manipolazione di simboli. Più recentemente, a suscitare un certo interesse nel mondo accademico, è stata la teoria della mente che le persone con autismo si costruiscono riguardo gli altri, ossia il loro modo di immaginare cosa essi pensano, proposta da Frith (1995), secondo la quale un malfunzionamento del cervello si rispecchia in un malfunzionamento della mente, da esso prodotta e produttrice a sua volta del comportamento. L'Autrice ricorda quanto sia difficile stabilire se a cambiamenti nei comportamenti osservabili in base ai quali si definisce l'autismo corrispondano poi effettivamente cambiamenti nella sfera cognitiva o neurologica, pertanto risulta ardua la determinazione di un comune denominatore di tutti i casi di autismo, obiettivo che invece si pone lo studio della teoria della mente in persone affette (Frith, 1995). L'approccio si fonda sull'ipotesi di un'incapacità, negli individui con autismo, di attribuire correttamente all'altro stati mentali come conoscenze o credenze, probabilmente a causa di un danno della facoltà metarappresentazionale, con una conseguente compromissione dei processi di mentalizzazione, forse innati, da cui risulta un pensiero concreto, basato esclusivamente su eventi della realtà direttamente osservabili (Frith, 1995; Happé, 1994: 38-39; Baron-Coen et al., 1993: 112-121). Quest'ipotesi risale ad un'iniziale proposta di Leslie (1987, cit. in Frith 1995) di considerare il gioco di ruolo nei bambini in generale come se fosse basato su un meccanismo cognitivo che permettesse loro di immagazzinare separatamente eventi fisici (reali) e mentali (di ruolo). Visto che nei bambini affetti da autismo il gioco di ruolo appare in effetti molto più povero, in confronto a bambini con handicap differenti, Baron-Coen, Leslie e Frith (1985 cit. in Frith 1995), indagarono la possibilità dell'esistenza di una reale incapacità dei bambini con autismo di registrare gli stati mentali separatamente da quelli fisici. La ricerca si svolgeva sotto forma di gioco in cui ai soggetti erano presentate due bambole, una, Sally, portava un cestino e l'altra, Ann, aveva una scatola. Sally usciva a passeggio dopo aver messo una biglia nel proprio cestino e averlo coperto con un panno. Intanto Ann prendeva la biglia dal cestino e la nascondeva nella propria scatola. A questo punto Sally tornava, con l'intenzione di giocare con la biglia e le domande che venivano poste erano: 1) dove avrebbe guardato Sally per prendere la biglia? 2) dove avrebbe creduto di trovarla? L'elemento fondamentale di cui avrebbero dovuto tener conto i soggetti era che Sally non poteva essere a conoscenza di quanto Ann aveva fatto in sua assenza. Erano in grado di rispondere al quesito sia bambini normali di quattro anni che bambini affetti da sindrome di Down, i quali, su richiesta, erano anche in grado di spiegare che Sally era ignara delle azioni di Ann durante la sua assenza, dimostrando così, grazie alla comprensione che qualcuno può avere una "credenza errata" (false belief) su una situazione, d'essere capaci di attribuire uno stato mentale ad un altro, in modo da aver maggiori possibilità di prevederne il comportamento: nella storia proposta è plausibile aspettarsi che Sally, dopo aver inizialmente cercato la biglia nel cestino non la trovi (Frith, 1995). Secondo gli Autori dalla comprensione di un'errata credenza deriva quella di una "credenza vera" (true belief), ossia è possibile capire emozioni sentimenti e desideri dell'altro (Frith, 1995). Bambini affetti da autismo, di età anche molto superiore ai 4 anni, incorsero invece in grosse difficoltà nel tentativo di rispondere alla domanda, affermando per esempio, nonostante il ricordo corretto della sequenza degli eventi, che Sally avrebbe cercato nella scatola di Ann, così da dimostrare quindi di non riuscire a cogliere il senso di quanto accaduto e comprendere che Sally ha una falsa credenza. Il comportamento di Sally diventa imprevedibile se non vi è comprensione dei suoi pensieri poiché, secondo gli Autori, il non inferire una falsa credenza significa non essere in grado di conoscere gli stati mentali altrui: nell'esempio sarebbe inspiegabile che Sally vada a cercare la biglia nel posto sbagliato, cosa che invece accade nelle persone con autismo, proprio perché potrebbe mancare in loro una teoria della mante (Frith, 1995).
Implicazioni biologicheDa una ricerca di Flechter et al. (1995, cit. in Frith 1995) su volontari, risultò un'intensa attività di una zona posta nella corteccia mediale frontale sinistra, l'area 8 di Brodmann, solamente durante l'esecuzione di prove che richiedevano l'uso di abilità concernenti la teoria della mente. L'area non era attiva nella condizione di controllo, dove si richiedeva l'esecuzione di un compito che implicava la comprensione di stati fisici, piuttosto che mentali. Da una ricerca successiva degli stessi Autori emerge l'ipotesi di una disfunzione cerebrale localizzata e specifica che spiegherebbe come mai nei volontari con sindrome di Asperger, l'attività dell'area 8 di Brodmann risultasse, rispetto al gruppo dei non affetti, significativamente minore (Frith, 1995).
Limiti della teoria della menteIl fatto che pazienti con sindrome di Asperger, compresa nell'ampio spettro dei disordini autistici, siano in grado spesso di rispondere esattamente al quesito di Sally e Ann impone una revisione della teoria della mente, visto che per queste persone non sembra si possa parlare di. "cecità alla mente", ma piuttosto di una "miopia" perché, nonostante la loro abilità nelle prove sperimentali e il loro elevato QI verbale rispetto a soggetti con autismo grazie al quale già a 4 o 5 anni sono in grado di riconoscere un "false belief", incorrono comunque in molte difficoltà nella vita quotidiana perché la loro abilità, anche se presente, risulta impacciata e lenta, come se la comprensione dello stato mentale altrui fosse stata raggiunta mediante un percorso diverso e inusuale (Frith, 1995). Frith (1995) ricorda come questo aggiustamento non sia tuttavia sufficiente a superare i seguenti limiti:
Visto che il superamento delle prove che implicano la teoria della mente non dipende da nessuno degli elementi sopra elencati, sono state proposte due teorie cognitive che li prendono in considerazione.
Teoria dei disturbi delle funzioni esecutiveLa categoria comprende memoria procedurale, capacità di pianificazione e controllo dell'impulso. La somiglianza dei disturbi autistici per questi aspetti con quelli causati da lesioni dei lobi frontali, ha portato all'ipotesi di un possibile legame tra una disfunzione di tali strutture e l'autismo. Per spiegare come mai non tutte le persone con lesione dei lobi frontali risultino poi affette anche da autismo, Frith (1995) propone un modello complementare alla teoria della mente, e non alternativo, secondo cui quanto più è precoce l'età in cui si subisce la lesione, tanto più pervasivi si rivelano gli effetti sullo sviluppo di chi ne è colpito.
Teoria della coerenza centrale deboleFrith e Happé (1995) ipotizzarono che le persone con autismo possedessero uno stile cognitivo particolare orientato verso i processi olistici a cui si sarebbe potuta attribuire l'irregolarità del QI di performance di diversi test. Chi non è affetto da autismo ottiene risultati migliori con materiale coerente e organizzabile (è più facile ripetere a memoria frasi che costituiscono una storia, piuttosto che frasi casuali), mentre per chi ne è affetto sembra non aver importanza se stia eseguendo un compito dotato di senso o no (Frith, 1995). E' probabile che i punteggi più alti degli individui con autismo nell'area visuo-spaziale al sub test Disegno con i Blocchi delle scale Wechsler, siano da attribuire alla modalità più adatta alla ricostruzione dell'intero disegno che sembra consistere nel dividere le figure in unità minori prive di significato. Secondo la teoria della coerenza centrale debole una certa indipendenza dal contesto e più numerosi errori di pronuncia nelle parole omografe potrebbe spiegare perché nelle prove di linguaggio, le persone affette da autismo tendono ad associare le parole più per somiglianza di suono che per significati, come risulterebbe confermato, secondo Frith (1995), dai test sia verbali che di performance. Nell'autismo sembrerebbe perciò essere assente proprio quella tendenza alla coerenza caratteristica del modo di elaborare le informazioni delle persone in generale (Frith, 1995).
bibliografiaBaron-Choen S., Tager-Flusberg H. e Choen D. (1993) Bettelheim B. (1967) Frith U. (1989) Frith, U., Happe, F., Siddons, F. (1995), Frith U. (1995) Happé F. (1994)
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