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breve storia del concetto di autismo
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello cognitivo e teoria della mente
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello comportametale
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello organicista
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello psicodinamico
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello sistemico-relazionale
(cenciarelli i., mona a., 1999)


il concetto di autismo in bleuler, kanner, e asperger
(p. g., 1996)


l'autismo e le psicosi infantili: l'approccio psicodinamico e le problematiche relative al contesto familiare ed educativo
(soriente c., 1994)


la diagnosi secondo l'equipe di treviso
(angsa treviso, tratto da 'autismo triveneto', 1999)

 

 

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EZIOLOGIA DELL'AUTISMO: MODELLO ORGANICISTA

Cenciarelli I., Mona A., 1999

 

Prima della pubblicazione dello studio di Wing e Gould (1979 cit. in Gillberg, 1992) era ancora aperto il dibattito sulla diagnosi differenziale tra autismo e cerebrolesione, tanto che la diagnosi di autismo veniva tendenzialmente attribuita solo a quei pazienti che non manifestavano nessun altro sintomo, se non quelli strettamente correlati alla sindrome. Nel caso (più frequente) in cui era possibile individuare anche un disturbo organico si preferiva infatti la definizione di "autismo secondario" (Gould, 1992). Tuttavia sono ormai numerose le rassegne della letteratura che mostrano come sia elevata la probabilità che le cause dell'autismo abbiano una base principalmente organica (Happé, 1994:28; Gillberg, 1992; Gillberg e Coleman, 1992:30; Swillen et al. 1992 cfr. sito VCAE).

Nel campione esaminato da Steffenberg (35 bambini affetti da autismo e 17 con comportamento di tipo autistico) si poteva riscontrare un'elevata frequenza di danni o disfunzioni cerebrali (Steffenberg, 1991 cit. in Happé, 1994: 28).

Gillberg e Coleman (1992: 229-245) elencarono 12 sindromi note che potevano manifestarsi anche come sindrome autistica: Cornelia de Lange syndrome, fetal alcohol syndrome, hypomelanosis of Ito, Joubert syndrome, Lujan-Fryns syndrome, Moebius syndrome, Neurofibromatosis, Rett syndrome, Sotos syndrome, Gilles de la Tourette syndrome, Tuberous sclerosis, Williams syndrome.

Swillen et al. (1992 cfr. sito VCAE) individuarono ulteriori disturbi sospettati d'essere correlati con l'autismo: X-linked mental retardation with Marfenoid habitus o velo-cardio-facial syndrome.

Gillberg e Coleman (1992: 74) hanno rilevato anche un'alta frequenza di epilessia fra gli indicatori di danno cerebrale correlato con l'autismo.

Allo stesso modo il ritardo mentale, frequentemente associato al Disturbo Autistico, sembra indicare un'eziologia di tipo organico (non ancora individuata con certezza) che spiegherebbe le anomalie nei test di abilità (Gillberg e Coleman, 1992: 90), dai quali si ottengono singolari profili cognitivi, con migliori risultati nelle prove per la motricità fine piuttosto che per quella grossa e con elevati punteggi nelle prove non verbali e di performance, ma punteggi molto al di sotto della media in quelle verbali, che mostrano una compromissione maggiore della comprensione piuttosto che della produzione di parole, mentre la memoria per cifre o lettere senza significato appare in certi casi addirittura superiore alla norma (Gillberg e Coleman, 192: 168; Lockyer e Rutter, 1970 cit. in Happé, 1994: 19).

Inoltre si possono trovare correlate all'autismo anche anomalie della vista e dell'udito. Talvolta esso è comparso in seguito a herpes simplex encephalitis (Gillberg I.C., 1991; Gillberg, 1992; Gillberg, 1986 cit. in Happé, 1994: 30).

 

 

Cervelletto

La conseguenza di un danno in quest'area consiste in incontrollabili manifestazioni motorie dette paralisi cerebrale. Tuttavia recenti osservazioni sembrano attestare un possibile ruolo del cervelletto anche nella verbalizzazione, nelle emozioni, nell'apprendimento e nell'attenzione.

Grazie alle immagini ottenute dalla risonanza magnetica, nel corso degli anni '80 Courchesne, analizzando il cervelletto di pazienti con autismo, poté osservare un'ipoplasia, a causa forse di un mancato sviluppo all'interno dell'utero, dei lobuli VI e VII correlata in maniera apparente proporzionale alla gravità dei sintomi. Tuttavia alcuni pazienti mostravano invece un'iperplasia degli stessi.

Visto che le persone con autismo necessitano di tempi più lunghi del normale per spostare l'attenzione, egli, da ulteriori indagini, concluse che i lobuli VI e VII potessero avere un ruolo in questo senso, con una conseguente perdita d'informazioni su contesto e contenuto, data la difficoltà di chi è affetto da autismo di passare dall'uno all'altro (Courchesne, 1987, 1988 cit. in Happé, 1994: 31).

Le osservazioni di Courchesne non trovarono conferma nelle autopsie di persone con autismo, che mostrarono invece altre anomalie come la scarsità di cellule del Purkinje, importanti inibitori della produzione di serotonina i cui livelli ematici sono talvolta effettivamente alterati (Ritvo et al. 1996 cit. in Happé, 1994: 31).

Secondo Happé (1994: 31) tre sono i limiti di queste ricerche:

 

  1. i gruppi non sono pareggiati per età mentale, perché i gruppi di controllo sarebbero dovuti essere composti da persone senza autismo ma con difficoltà di apprendimento, piuttosto che da individui "normodotati";
  2. non è possibile stabilire se le anomalie riscontrate siano cause o effetti del disturbo, visto che le conseguenze di comportamenti di tipo autistico sul tessuto cerebrale non sono note;
  3. seppure il cervelletto fosse implicato nelle funzioni cognitive, ciò non spiegherebbe direttamente un quadro cognitivo-comportamentale così articolato come quello dell'autismo.

 

 

Sistema limbico

Bauman e Kemper, nell'ipotesi di possibili implicazioni del sistema limbico nell'autismo, hanno rilevato, nel corso degli anni '80, anomalie principalmente dell'ippocampo e dell'amigdala. I neuroni in queste zone avrebbero dimensioni inferiori al normale e la loro densità sarebbe eccessiva. Ne sono derivati studi sui possibili effetti di lesioni in queste aree. (Bauman e Kemper, 1985 cit. in Happé, 1994: 31).

 

L'amigdala ha un ruolo nel controllo dell'emotività e dell'aggressività. Similmente a diversi pazienti affetti da autismo, che mostrano un'emotività "piatta" o comportamenti auto o etero aggressivi, è possibile riscontrare in alcuni animali con lesione o rimozione dell'amigdala attività compulsive, impedimento sociale, difficoltà nel recupero d'informazioni dalla memoria, impossibilità d'imparare dalle situazioni pericolose, e problemi nell'adattamento a situazioni nuove. L'amigdala risponde inoltre a stimoli legati alla paura.

 

L'ippocampo sarebbe invece implicato nell'apprendimento e nella memoria. Secondo Rimland le persone con autismo troverebbero delle difficoltà nel collegare nuove informazioni con quelle già immagazzinate. Ciò sembra concordare con l'osservazione che da danni all'ippocampo deriva un'impossibilità di mantenere informazioni in memoria. Animali con lesione o rimozione di quest'area esibiscono comportamenti stereotipati, autostimolatori e iperattività.

Lesioni provocate artificialmente ad animali da esperimento non sono tuttavia direttamente confrontabili con la complessa sintomatologia dell'autismo.

 

 

Disfunzioni metaboliche e componenti biochimiche

Ricerche dell'ultimo decennio su possibili alterazioni biochimiche nell'autismo hanno consentito l'individuazione di una disfunzione dopaminergica in diversi casi che, considerato il ruolo del sistema dopaminergico in generale, potrebbe dar conto della complessa sintomatologia dell'autismo (Gillberg e Coleman, 1992: 287-292).

Diverse sono le disfunzioni metaboliche che possono essere correlate con l'autismo e da esse sono scaturiti numerosi approcci che riscuotono al momento svariati consensi, data la loro rilevanza "pratica" (Gillberg e Coleman, 1992: 115-125, 210).

Shattock, partendo dalla constatazione di Panksepp sulla somiglianza tra la sintomatologia dovuta ad assunzione cronica di oppioidi e quella dell'autismo ha analizzato con la HPLC (Cromatologia Liquida ad Alta Resa) le urine di alcuni soggetti affetti o con disturbi correlati, rilevando l'effettiva presenza di elevati livelli di oppioidi (come la beta-endorfina) nel SNC, che potrebbero essere dovuti a:

  1. un'incompleta scissione del glutine e della caseina;
  2. glutine e caseina, potrebbero creare dei ligandi per enzimi preposti alla scissione degli oppioidi naturali, con un conseguente accumulo di endorfine per un tempo più lungo (Shattock, 1997).

Questo spiegherebbe anche le osservazioni di Reichelt et al. (Shattock, 1997), che mostrarono un elevato tasso di prodotti della scissione del glucosio di alcuni cereali e prodotti caseari (glutine e caseina, appunto).

Gli oppioidi sarebbero quindi responsabili dell'inibizione della trasmissione nei principali sistemi di neurotrasmettitori esistenti. Agli oppioidi potrebbero anche essere dovute alcune alterazioni del sistema immunitario nell'autismo.

Dato il loro ruolo nei processi di specializzazione neuronale nello sviluppo neonatale, ad un elevato tasso di peptidi oppioidi potrebbe essere dovuta un'eccessiva riduzione di neuroni, come sembrano dimostrare le anomalie rilevate nel SNC di persone con autismo (Shattock, 1997).

L'Autore ribadisce che il passaggio nel SNC di alcune sostanze ad esso nocive non è di solito impedito del tutto dalla barriera ematoencefalica, che risulterebbe quindi parzialmente permeabile ad alcune particelle dagli effetti trascurabili. Se la concentrazione ematica di esse cresce, è possibile che la quantità di sostanze dannose che oltrepassano la barriera, sia tanto grande da produrre effetti negativi. Ciò può accadere sia perché la metabolizzazione di sostanze nocive per il SNC non è sufficiente, sia perché la permeabilità delle pareti intestinali si rivela eccessiva (Shattock, 1997).

Shattock (1997) ricorda che esistono livelli differenti di approccio all'autismo e pertanto un modello del genere non esclude né è in contrasto con quello genetico o con un intervento psicopedagogico. Un intervento sulla dieta infatti, più che una terapia potrebbe favorire la creazione di un "ambiente interno" che favorisca il raggiungimento degli obiettivi di crescita e di sviluppo che solo un adeguato intervento pedagogico è in grado di garantire.

 

 

Genetica

Diversi indizi portano attualmente a ipotizzare che la componente genetica abbia un ruolo rilevante nella sindrome autistica. La maggior incidenza del disturbo nei maschi si potrebbe per esempio attribuire ad anomalie dei cromosomi sessuali, tanto più che le manifestazioni sintomatiche nelle femmine sono più gravi. (Gillberg e Coleman, 1992:90; Happé, 1994: 29; Szatmari e Jones, 1991 cit. in Happé, 1994: 25).

Anche i dati ottenuti da ricerche sui familiari di soggetti con autismo depongono a favore di un'eziologia genetica del disturbo: da una ricerca della UCLA (Utah), negli anni '80, su 44 nati in 11 famiglie dove il padre aveva una diagnosi di autismo, emerse che 25 ricevevano in seguito la medesima diagnosi, in accordo con l'osservazione che un genitore trasmette al proprio figlio circa metà dei suoi geni. Il fatto che chi effettuò le diagnosi era a conoscenza dei problemi del genitore, potrebbe però incidere negativamente sulla validità dei risultati

Comportamenti autistici si possono anche osservare in persone con cromosoma X fragile, nelle quali vi è un'anomalia cromosomica accertata, e in quelle con Disturbo di Rett, con tutta probabilità dovuto ad un carattere recessivo sul cromosoma X, dato che solo le femmine ne risultano affette Di difficile verifica risulta una teoria secondo la quale potrebbero intervenire mutazioni genetiche occasionali nel passaggio di cromosomi da una generazione all'altra.

E' stata anche ipotizzata una predisposizione genetica ai danni cerebrali causati da agenti accidentali, conseguentemente all'osservazione di alcune correlazioni tra l'esposizione al virus della rosolia in gravidanza e l'autismo alla nascita, che non esclude tuttavia un'ipotesi alternativa per cui l'autismo, più che da una predisposizione, dipenderebbe da quale area del cervello entra per caso in contatto con l'agente nocivo.

E' stato anche osservato che fratelli di persone affette da autismo, oltre ad una probabilità più elevata del resto della popolazione d'essere a loro volta affetti, sono significativamente più esposti al rischio di ritardo mentale, disturbi del linguaggio o della socializzazione (Gillberg, 1992; per una rassegna anche Happé, 1994: 29). Non si può comunque escludere con certezza che ciò sia da attribuire al tipo di ambiente familiare "più a rischio", come ipotizzato dai sostenitori del modello psicodinamico.

Un'incidenza maggiore di comportamenti autistici è stata anche osservata in pazienti affetti da disturbi a base genetica accertata, quali l'X fragile, la sclerosi tuberosa e la fenilchetonuria (Gillberg e Coleman, 1992: 179-251).

Risultati più interpretabili si sono ottenuti da una ricerca condotta su coppie di gemelli, dalla quale è emersa un'elevata probabilità di una diagnosi di autismo anche per gemello monozigote di una persona affetta, molto maggiore di quella di un gemello dizigote (Folstein e Rutter, 1997 cit. in Happé, 1994: 29).

E' tuttavia quasi certa un'interazione tra fattori genetici e ambientali, poiché non necessariamente il gemello omozigote di un paziente con autismo riceve la stessa diagnosi. Da una ricerca di Folstein e Rutter (1977 cit. in Happé, 1994: 29) è risultata per esempio importante l'influenza dei fattori perinatali, dato che se nelle coppie di gemelli omozigoti solo uno dei due era affetto, si trattava quasi sempre di quello che era incorso in maggiori difficoltà durante il parto.

Secondo i sostenitori di modelli psicogeni dell'autismo, tali risultati si potrebbero però interpretare alla luce di una somiglianza caratteriale tra gemelli omozigoti da cui deriverebbero le stesse risposte da parte dell'ambiente per entrambi e quindi anche uguali interazioni patogene (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 409; Tinbergen e Tinbergen, 1984 ed. it. 1989: 157-159).

 

 

bibliografia: 

V Congress Autism-Europe (VCAE).
www.autism-uk.ed.ac.uk/conferences.html

Bettelheim B. (1967)
The Empty Fortess: infantile Autism and the Birth of the Self.
New York: Free Press .
(1990) La Fortezza Vuota.
Garzanti
.

Gillberg C. (1992)
The Diagnosis and Genetics of Childhood Autism.
Atti del XVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Neuropediatria, 53-80, Roma, 8-10 Ottobre 1992.

Gillberg C., Coleman M. (1992)
The Biology of the Autistic Sindromes - 2nd edn.
London: MacKeith.

Happé F.
(1994) Autism: an introduction to psychological theory.
London: UCL Press.

Shattock P. (1997)
Trattamenti: Approcci non-ortodossi.
Notiziario dell'Osservatorio Autismo della Regione Lombardia. 2

Tinbergen N. e Tinbergen E.A. (1984)
Autismus bei Kindern. Autistic Children. New Hope for a Cure. Verlag Paul Parey,
Berlin und Hamburg.
Ed. it. (1989) Bambini Autistici. Nuove Speranze di Cura.
Adelphi.

 

 

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