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breve storia del concetto di autismo
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello cognitivo e teoria della mente
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello comportametale
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello organicista
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello psicodinamico
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello sistemico-relazionale
(cenciarelli i., mona a., 1999)


il concetto di autismo in bleuler, kanner, e asperger
(p. g., 1996)


l'autismo e le psicosi infantili: l'approccio psicodinamico e le problematiche relative al contesto familiare ed educativo
(soriente c., 1994)


la diagnosi secondo l'equipe di treviso
(angsa treviso, tratto da 'autismo triveneto', 1999)

 

 

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BREVE STORIA DEL CONCETTO DI AUTISMO

Cenciarelli I., Mona A., 1999
Adattamento per il web a cura di Cenciarelli I.

 

Anche se il termine autismo fu utilizzato per la prima volta nel 1908 da Bleuler in riferimento ad una particolare forma di ritiro dal mondo, fu Kanner, nel 1943, ad adottarlo per indicare una specifica sindrome da lui osservata in 11 bambini che chiamò autismo precoce infantile.

Descrisse i suoi piccoli pazienti come tendenti all'isolamento, ''autosufficienti'', ''felicissimi se lasciati soli'', ''come in un guscio'', poco reattivi in ambito relazionale. Alcuni apparivano funzionalmente muti o con linguaggio ecolalico ed altri, non mutacici, mostravano una caratteristica inversione pronominale: il ''tu'' per riferirsi a loro stessi e l'''io'' per riferirsi all'altro, facevano cioè uso dei pronomi così come li avevano sentiti.

Molti avevano una paura ossessiva che avvenisse qualche cambiamento nell'ambiente circostante.

Alcuni presentavano specifiche abilità molto sviluppate (memoria di date, ricostruzione di puzzles, ecc.) isolate accanto ad un ritardo generale.

Secondo Kanner i genitori dei bambini con autismo si mostravano freddi, intellettuali e poco interessati alle persone.

Quasi contemporaneamente, ma indipendentemente da lui, anche Asperger utilizzò un termine simile, ''autistichen psychopathen'', per descrivere altri pazienti da lui osservati sorprendentemente simili anche nella sintomatologia a quelli descritti da Kanner. Vi erano tuttavia tre importanti differenze:

  1. nel linguaggio: Asperger aveva potuto constatare la presenza di un eloquio scorrevole;
  2. nella motricità: i bambini osservati da Asperger avevano difficoltà nell'esecuzione di movimenti grossolani, quelli descritti da Kanner nei movimenti fini;
  3. nella capacità di apprendere: Asperger li definiva ''pensatori astratti'', mentre secondo Kanner essi apprendevano meglio in maniera meccanica.

Per questo si configurarono infine due quadri diagnostici differenti: l'autismo di Kanner e la sindrome di Asperger, anche se la somiglianze tra le due sono notevoli tanto che Happé (1994) si chiede se per caso la sindrome di Asperger non sia piuttosto '' un'etichetta per tutte le persone autistiche con QI relativamente elevato''.

Nel ventennio successivo alle osservazioni di Kanner (anche grazie all'impostazione teorica di quest'ultimo) furono le teorie psicodinamiche (per una trattazione più estesa dell'approccio psicodinamico si veda quella proposta da Cinzia Soriente) il principale punto di riferimento nello studio dell'autismo. Si preferiva perciò indagare la possibilità che il rapporto madre-bambino fosse alterato. Come sostenuto da Bettelheim (1967), il figlio avrebbe percepito nella madre un desiderio (reale o immaginario) di annullarlo, o che non fosse mai esistito e questo la avrebbe fatto precipitare in una paura di annientamento totale da parte del mondo (visto che questo è rappresentato per il bambino piccolo proprio dalla madre) dal quale si difenderebbe con l'autismo (per un'estesa critica si può consultare il rapporto Pollack contro Bettelheim, nel sito Il club di Letizia).

L'autismo sarebbe perciò in quest'ottica un meccanismo di difesa. Pur restando sempre alla base del modello psicodinamico, questo concetto subì delle modifiche in relazione ai sempre crescenti indizi che sembravano implicare un substrato biologico nella sindrome. Già nel 1959 Goldstein propose di considerare l'autismo come un meccanismo di difesa secondario ad un deficit organico, paragonabile a quelle reazioni di pazienti cerebrolesi che sembrano ''espressione di meccanismi di protezione messi in atto passivamente allo scopo di salvaguardare l'esistenza del malato in situazioni di pericolo e di angoscia insopportabili'' (1959).

A partire dagli anni '60 però le critiche al modello psicodinamico, accusato di colpevolizzare ingiustamente i genitori, si fanno sempre più forti. I genitori di bambini con autismo infatti non mostravano tratti patologici o di personalità significativamente diversi da quelli di bambini non affetti. Il primo Autore a sostenere in modo sistematico che la causa della sindrome autistica non fossero i genitori, ma che il disturbo avesse una base organica è stato Rimland (attualmente direttore dell'Autism Research Institute).

Ne scaturì l'approccio organicista, che cercava d'individuare alterazioni morfologiche e funzionali alla base della sindrome. Nonostante al varietà di elementi raccolti congruenti con quest'ipotesi, non ne è stato ancora isolato uno in particolare che possa essere considerato come caratteristico di tutte le forme di autismo, tanto che attualmente si è portati a credere che non esista un ''unico autismo'', ma che in questa categoria siano invece comprese diverse patologie e manifestazioni sintomatiche provocate da diverse cause organiche.

Sul finire degli anni '80 fu proposto anche un modello cognitivo basato sulla teoria della mente, proposta da Uta Frith, la quale ipotizza che nell'autismo la disfunzione cognitiva da cui deriverebbero gli altri sintomi consista in un'incapacità di rendersi conto del pensiero altrui, sarebbe cioè carente o assente proprio la teoria della mente (cfr. la ricerca does the autistic child have a 'theory of mind'? o la breve rassegna Introduction to Theory of mind).

Nel 1979 Wing e Gould distinsero tre diverse tipologie di persone affette da autismo: aloof (isolati), abbastanza simili ai pazienti descritti da Kanner; passive, cioè passivi, soprattutto nei confronti dell'ambiente circostante; e odd (bizzarri), socialmente attivi, ma con comportamenti incongruenti e inconsueti.

Da uno studio degli stessi autori (1979) è emerso che disturbi della socializzazione, della comunicazione e dell'immaginazione hanno la tendenza ad apparire insieme piuttosto che isolatamente. Essendo questa caratteristica particolarmente evidente nell'autismo, da allora si preferì diagnosticarlo in base a queste tre aree sintomatiche.

Questo metodo di classificazione rischia però di non tener conto di altri aspetti peculiari del disturbo, se pure non presenti nella totalità dei pazienti, quali le ''savant abilities'', le stereotipie, i comportamenti autostimolatori (come dondolarsi) e la preoccupazione ossessiva per il mantenimento dell'immutabilità degli ambienti o delle abitudini.

Il concetto di autismo ha dunque subito nel corso di mezzo secolo notevoli modifiche, come il passaggio da un'unica sindrome, che poteva variare lungo un continuum di gravità crescente, ad uno spettro di disturbi indicante manifestazioni di sintomi molto diverse.

Ma il cambiamento più rilevante lo si può vedere confrontando le categorie di classificazione del disturbo utilizzate attualmente dai manuali diagnostici con le precedenti versioni. Precedentemente l'autismo infatti era compreso tra le psicosi precoci (ad insorgenza prima dei tre anni). Nella nuova classificazione internazionale, invece, l'autismo è compreso nei disturbi dello sviluppo, con una componente organica altamente probabile, anche se non ancora individuata con sicurezza.

Data l'alta variabilità delle manifestazioni comportamentali ad esso associate, la classificazione del disturbo è divenuta più generale. Per questo motivo già nel DSM III-R (1987) venivano distinte tre principali aree di alterazione comportamentale (sul modello di Wing e Gould): interazione sociale, comunicazione e repertorio di interessi.

A tutt'oggi l'eziologia dell'autismo rimane sconosciuta ed è per questo motivo che i due manuali diagnostici più utilizzati continuano a basare i criteri di riconoscimento su indicatori comportamentali

 

 

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