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breve storia del concetto di autismo
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello cognitivo e teoria della mente
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello comportametale
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello organicista
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello psicodinamico
(cenciarelli i., mona a., 1999)


eziologia dell'autismo: modello sistemico-relazionale
(cenciarelli i., mona a., 1999)


il concetto di autismo in bleuler, kanner, e asperger
(p. g., 1996)


l'autismo e le psicosi infantili: l'approccio psicodinamico e le problematiche relative al contesto familiare ed educativo
(soriente c., 1994)


la diagnosi secondo l'equipe di treviso
(angsa treviso, tratto da 'autismo triveneto', 1999)

 

 

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EZIOLOGIA DELL'AUTISMO: MODELLO PSICODINAMICO

Cenciarelli I., Mona A., 1999

 

Fu Kanner uno dei primi Autori a ricercare la causa dell'autismo in un'anomalia nel rapporto madre-bambino, tanto che il concetto di "madre frigorifero" si può ricondurre alle descrizioni di genitori da lui fornite.

Questo è il nucleo concettuale attorno al quale ruota il modello psicodinamico nel tentativo di descrivere la natura eziologica dell'autismo. Tuttavia, all'interno di tale modello sono state proposte anche altre teorie che indagavano cause differenti come carenza di contatto fisico, pratiche alimentari anomale, difficoltà nel linguaggio e/o nel contatto oculare con il figlio, fino ad un'ipotesi di fantasia deumanizzante proiettata sul proprio figlio (Gillberg e Coleman, 1992: 4).

 

 

Bettelheim

Nel suo libro "la fortezza vuota", Bettelheim mette a confronto il comportamento di persone affette da autismo con quello dei prigionieri nei campi di concentramento nazisti (esperienza, questa, vissuta in prima persona per due volte), notando che vi sono delle somiglianze (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 15-17). Secondo quest'ipotesi l'autismo, attraverso un processo di "disumanizzazione" si configurerebbe come la reazione ad una "situazione estrema", caratterizzata da una prolungata consapevolezza dell'imminenza della morte (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 42-50).

L'Autore, confrontando i vissuti dei prigionieri nei lager, con quelli di chi è affetto da autismo, ipotizza che alla base di quest'ultimo vi sia la percezione, nel neonato, di ostilità con un'intenzione distruttiva nei suoi confronti da parte della madre (che per lui rappresenta il mondo). Sebbene tali percezioni possano inizialmente non rispecchiare la realtà, il neonato interpreta il risentimento della madre per il rifiuto incomprensibile di suo figlio verso di lei, come conferme delle sue sensazioni. In questo modo sarebbe il desiderio di annullamento del proprio figlio la causa principale dell'autismo che egli manifesterà successivamente (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 126).

Da ciò deriverebbero vissuti di impotenza, e la sensazione di non poter né agire né fare previsioni sulla realtà esterna. Il bambino utilizzerebbe perciò delle difese, la preservazione dell'identità (sameness) e la creazione di confini (boundary), adatte a tenersi fuori dal mondo e i suoi pericoli, al prezzo però di un progressivo svuotamento della fortezza eretta a difesa di un Io che si ritrova così sempre più indebolito e impoverito (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 27).

 

 

Mahler

Secondo l'Autrice il bambino giunge a quella che ha definito come "nascita psicologica" attraverso un processo di graduale differenziazione tra Sé e non-Sé che culmina nella percezione della propria madre come oggetto separato da sé.

Mahler sostiene che "l'isolamento e le altre manifestazioni della sindrome psicotica autistica richiamano alla mente quello stato di completa non differenziazione tra l'Io e l'Es, tra il Sé e il mondo oggettuale, che si ritiene sia predominante nel neonato fino alla fine del secondo mese di vita" (Mahler, Pine, Bergman, 1975 cit. in Soriente, 1994).

A questa descrizione corrisponde secondo l'Autrice la cosiddetta fase autistica normale, caratterizzata da una mancanza di consapevolezza dell'agente delle cure materne nel bambino, con una conseguente incapacità di utilizzare l'oggetto d'amore primario vivente.

In seguito tuttavia il bambino si comporta con la propria madre come se fosse un tutt'uno con lei stabilendo in questo modo una relazione simbiotica.

Secondo la Mahler quindi autismo infantile e psicosi simbiotiche, riferendosi a differenti momenti del processo evolutivo, sarebbero da considerare entità distinte.

Un bambino con autismo infantile appare infatti "organizzato per mantenere e consolidare la barriera allucinatoria negativa che caratterizza la prima settimana di vita, quando si deve difendere da una stimolazione sensoriale troppo viva" (Soriente, 1994). Egli non sembra vedere nella madre "un faro vivente di orientamento nel mondo della realtà" (Mahler, 1968 cit. in Soriente, 1994).

La psicosi simbiotica, sarebbe d'altro canto caratterizzata da una separazione reale (viaggio, ricovero, ecc.) che metterebbe in discussione il rapporto madre-bambino in una fase troppo precoce, favorendo così da parte di quest'ultimo, meccanismi di difesa che lo proteggano dalle proprie ansie di annientamento. (introiezione, proiezione, negazione), mantenendolo perciò in un illusorio legame simbiotico con sentimenti d'onnipotenza (Mahler, 1968 cit. in Soriente, 1994).

 

 

Winnicott

Focalizzando l'attenzione sul deterioramento del funzionamento del Sé come conseguenza dell'inadeguatezza dei genitori, l'Autore descrisse la psicosi come "un disturbo da deficienza ambientale" (1958 cit. in Soriente, 1994).

Lo psicoanalista inglese descrisse pertanto una fase transizionale, collocata fra il termine della fase nella quale il bambino, per le sue ansie d'annientamento, non riesce ancora ad accettare il mondo esterno e la realtà e l'inizio di quella in cui appare in grado di utilizzare questa abilità.

Analizzando più a fondo i processi di separazione durante i primi mesi di vita, Winnicott descrisse un primo momento durante il quale la madre, adattandosi ai bisogni del figlio per mezzo della "preoccupazione materna primaria", fornisce a quest'ultimo il "sentimento della continuità dell'essere", la cui rottura sarebbe però in seguito inevitabile a causa della normale discontinuità delle cure materne. Se ciò non sarà vissuto dal bambino come annullamento del Sé, gli consentirà di affrontare la disillusione e la separazione dalla propria madre, per merito della quale egli potrà giungere alla coscienza del "Sé emergente" e l'altro da Sé.

Se però la madre fosse carente nelle sue funzioni, il rischio di una psicosi infantile sarebbe, in questo delicato "momento di transizione", molto alto, a causa di una minaccia d'annientamento percepita dal bambino, che potrebbe anche mostrarsi non in grado d'instaurare una relazione col mondo esterno (Winnicott, 1965 cit. in Soriente, 1994).

 

 

Meltzer

L'Autore, in linea con la scuola kleiniana, mette in evidenza per i bambini "aspetti quali l'essere 'gettati' in uno spazio non proprio e alieno, l'estraneità, la vacuità, il dolore. Entro questo singolare spazio-tempo e quale perpetuazione, i bambini con autismo vivono quel fenomeno che Meltzer ha definito come 'smantellamento', in virtù del quale un bambino incapace di contenimento, perché mai contenuto, realizza una condizione in cui il suo desiderio si traduce nella scomposizione dell'oggetto, così che una sola delle componenti di quest'ultimo viene a catturare una sola di quelle della sensorialità smantellata del bambino" (Soriente, 1994).

Come conseguenza di un fallimento nella funzione primaria di contenimento, si hanno quindi nell'autismo, a causa di un'incapacità di filtrare i dati sensoriali e della mancanza di uno spazio interno del Sé e dell'oggetto, problemi di differenziazione di uno spazio dentro e fuori dal Sé e dagli oggetti, e una tendenza a fondersi con singole parti di essi.

Meltzer sostiene che il più grande ostacolo per instaurare una relazione con pazienti affetti da autismo è costituito dalla difficoltà incontrata dal terapeuta di entrare in contatto con il mondo unidimensionale privo di mente del proprio paziente, egli si trova cioè "ad affrontare un problema emotivo, quello di abbandonare il proprio mondo a tre dimensioni, di spogliarsi della propria esperienza per entrare in un mondo privo di significato e di processi mentali" (Meltzer, 1977 cit. in Soriente, 1994).

 

 

Tustin

Secondo l'Autore, appartenente alla Scuola Psicoanalitica Inglese, le psicosi infantili come l'autismo sono da ricollegarsi sia all'incapacità del figlio di utilizzare la figura materna, sia nella carenza di cure da parte di quest'ultima (Tustin, 1990 cit. in Soriente, 1994). La rottura del legame viene vissuta dal bambino come perdita di una parte del proprio corpo, poiché avvenuta troppo precocemente, in una fase in cui egli ancora non è pronto ad affrontare una separazione. A protezione di se stesso il bambino costruisce un bozzolo composto da quelli che Tustin definisce "oggetti autistici", ossia protezioni manipolatorie e reattive, non concettualizzate e basate su sensazioni provenienti dal proprio corpo (Tustin, 1981 cit. in Soriente, 1994).

A causa dell'interruzione dell'holding, il bambino, nell'inutile tentativo di trovare protezione in una continuità illusoria e di sfuggire ad ansie per lui insostenibili, resta fuso con sua madre poiché non fa distinzione fra l'utilizzo del corpo di lei o del proprio (Tustin, 1972 cit. in Soriente, 1994).

Secondo un'ipotesi di Soriente (1994) la mancanza di linguaggio in alcune psicosi precoci sarebbe da ricercare nella compromissione o nell'assenza di alcuni prerequisiti rilevanti per lo sviluppo del linguaggio preverbale: il pointing e la lallazione.

Pointing significa indicare, gesto che, con intenzionalità comunicativa, si può riscontrare nel bambino tra i 12 e i 18 mesi. Il puntare il dito è di notevole importanza, non solo per l'acquisizione futura del linguaggio verbale, ma anche per lo sviluppo del Sé in quanto, grazie al riconoscimento e all'accettazione della distanza tra sé e l'oggetto desiderato, implica una diminuzione dell'onnipotenza, tanto più se esso, accompagnato da verbalizzazione, dà conto della capacità di distinguere tra sé e non sé.

Nel bambino con autismo, al posto del pointing, si può rilevare l'utilizzo della mano dell'altro come fosse la propria. Il motivo, secondo Tustin, sarebbe da ricercarsi nel rifiuto o nella mancanza di separazione tra il corpo del bambino e quello della madre, del quale utilizza parti come fossero proprie, quasi fosse "incollato" all'altro, considerato come appendice di sé (Soriente, 1994).

L'acquisizione delle capacità attentive e di comprensione del discorso altrui si estrinseca soprattutto dopo i 7-9 mesi, quando diviene manifesta nel bambino l'appartenenza al sistema fonologico della propria lingua di riferimento dei suoni da lui prodotti con la lallazione.

Tustin sostiene che nei bambini psicotici questo "gioco" avviene con suoni idiosincratici, creati dai bambini stessi e privi di un significato comprensibile, piuttosto che con quelli che normalmente ci si aspetta dalle predisposizioni innate (Soriente, 1994).

 

 

Modelli alternativi

Bick ha recentemente osservato direttamente le interazioni madre-bambino grazie al metodo dell'infant observation, rilevando nel neonato un iniziale stadio di non-integrazione, con vissuti di pervasiva impotenza e processi di scissione a difesa del proprio sviluppo, come fosse in cerca di un oggetto "che possa svolgere la funzione di mantenere unite le componenti della personalità non ancora differenziate dal corpo" (Soriente, 1994).

In una prospettiva kleiniana, l'oggetto si configurerebbe come una "pelle" necessaria allo sviluppo dei processi di identificazione e successivamente di scissione primaria e idealizzazione di Sé e dell'oggetto.

La "pelle" svolge perciò un'azione contenitiva della capacità di gestire uno spazio interno al Sé differenziato dal resto del mondo esterno, pertanto risulta importante che né carenze materne reali né attacchi fantasmatici ad essa (che ne impediscono l'introiezione) ne mettano a repentaglio un adeguato sviluppo, con conseguenze negative sull'evoluzione della personalità e confusione d'identità fino a giungere, come in alcuni casi di bambini psicotici, allo sviluppo di una "seconda pelle" in cui una falsa dipendenza si sostituirebbe a quella dall'oggetto a causa di un inadeguato uso delle funzioni mentali quali sostituti della "pelle" (Bick, 1968 cit. in Soriente, 1994).

Tustin ipotizza che l'incapsulamento autistico potrebbe derivare dallo sviluppo di una "seconda pelle" in seguito a esperienze di separazione dal corpo della madre tanto forti da far vivere ai bambini come feriti il loro stesso corpo e la pelle che lo avvolge.

La relazione madre-bambino riveste un ruolo centrale anche per Giannotti e De Astis i quali indagano la possibilità di un arresto dello sviluppo prima dell'instaurarsi dell'attaccamento alla figura materna, o in un momento successivo, attraverso una regressione. Gli Autori considerano quanto la nascita possa essere vissuta da entrambi i protagonisti in maniera catastrofica e come in seguito sia di cruciale importanza la modalità di contenimento materno delle primordiali angosce del figlio grazie alla quale le potrà elaborare, riproponendogliele in una forma rassicurante, simile ad uno "schermo protettivo" tra lui ed un ambiente troppo ricco di stimoli. Qualora ciò non dovesse verificarsi, il bambino si difenderà dal bombardamento di stimoli per lui inaffrontabili con rigidi meccanismi autistici (per es. isolamento, stereotipie ed ecolalia) che non gli consentiranno un ulteriore sviluppo (Giannotti, De Astis, 1990 cit. in Soriente, 1994).

Altri approcci hanno considerato il ruolo centrale giocato dall'intera famiglia del bambino psicotico nell'instaurarsi della sua patologia, in particolare per quanto riguarda le interazioni verbali e non verbali fra genitori e figlio subito dopo la nascita.

Secondo tale prospettiva, Carratelli et al. prestano particolare attenzione al modo in cui il padre partecipa attivamente alla funzione di maternage, nonostante la mancanza per lui di un'esperienza di fusionalità durante la gravidanza paragonabile a quella della madre. In questo modo sarebbe garantita un'unione più sintonica col bambino grazie alla possibilità di "identificazioni crociate" nella coppia genitoriale.

Sul versante della psicopatologia gli Autori propongono che, oltre che per la madre, anche per il padre si possa parlare dell'insuccesso del maternage come di "un'analoga esperienza fallimentare, per cui, nel momento in cui il figlio lo convoca in quest'area di funzionalità arcaica egli possa trovarsi a rivivere regressivamente una condizione in cui l'attrazione e l'angoscia concomitante verso uno stato di indifferenziazione è quanto mai intensa e dolorosa" e sarebbe questo il possibile processo alla base delle psicosi infantili (Carratelli, 1993 cit. in Soriente, 1994).

Ci si troverebbe dunque di fronte ad un sistema triangolare nel quale, in seguito al duplice fallimento di entrambe i genitori, il bambino rischia di reagire ad esso con modalità autistiche (Carratelli, 1993 cit. in Soriente, 1994).

 

 

bibliografia:

Bettelheim B. (1967)
The Empty Fortess: infantile Autism and the Birth of the Self.
New York: Free Press.

(1990) La Fortezza Vuota.
Garzanti
.

Gillberg C., Coleman M. (1992)
The Biology of the Autistic Sindromes - 2nd edn.
London: MacKeith.

Soriente C. (1994)
L'autismo e le psicosi infantili: l'approccio psicodinamico e le problematiche relative al contesto familiare ed educativo
.
Quaderni del Dipartimento di Scienze dell'Educazione. 1/2, 221-230.

 

 

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