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PSICOSI INFANTILE: EVOLUZIONE DI UN CONCETTO E CLASSIFICAZIONI
ATTUALI
Queste note sull'evoluzione del concetto di psicosi infantile e
sulle attuali classificazioni diagnostiche continuano il discorso
iniziato nel numero scorso da una psichiatra, che lavora in un centro
per adulti. I quesiti sono se il concetto di psicosi infantile sia
unitario o se racchiuda al suo interno una molteplicità di
situazioni cliniche diverse; quali rapporti leghino tra loro psichico
e somatico in termini di eziologia multifattoriale e di comorbidità;
quale prognosi e quali rapporti possono essere ipotizzati con la
patologia psichiatrica dell'età adulta.
Il concetto di psicosi infantile risale all'inizio di questo secolo,
quando Sancte De Sanctis descrive la "demenza precocissima"
(1908) e la considera sul piano eziopatologico, clinico ed evolutivo,
una varietà della demenza precoce di Kraepelin, la cui originalità
è da ricercare nell'età di insorgenza (tra 4 e 10
anni). Nello stesso anno Heller parla di "demenza infantile"
a proposito di una condizione clinica nettamente distinta dalle
demenze infantili diagnosticate nel corso del XIX secolo su bambini
affetti da ritardo mentale. Chaslin nel 1912 propone di trattare
certi pazienti affetti da ritardo mentale, epilessia o disturbi
comportamentali importanti come se fossero ebefrenici. Gli studi
condotti in quegli anni sui bambini contribuiscono poco a individuare
le caratteristiche tipiche delle manifestazioni psicopatologiche
di quell'età ed i loro rapporti con la patologia mentale
dell'età adulta (in particolare con la schizofrenia), benché
già Kraepelin (1898) avesse affermato che il 4% delle schizofrenie
esordiva nell'infanzia a Bleuler (1911) avesse fatto salire questa
percentuale al 5%.
A partire dagli anni '30-'40 il concetto di schizofrenia infantile
si afferma progressivamente sia negli USA che in Europa, distinguendosi
progressivamente da quelle fino ad allora definite come "psicosi
criptogenetiche". Nei lavori di quegli anni (Bradley e Potter
negli USA, Tramer, Heuyer, Lutz e Corboz in Europa) è presente
la preoccupazione di tenere nettamente distinti i casi di schizofrenia
da quelli di ritardo mentale e le manifestazioni psicopatologiche
infantili sono solitamente raggruppate sotto quest'ultima diagnosi.
Una visione più moderna del problema comincia ad affermarsi
negli USA a partire dal rapporto Despert (1938) ed in Europa dopo
la seconda guerra mondiale grazie ai contributi teorici degli psichiatri
di formazione psicoanalitica. In Inghilterra, in particolare, era
già forte l'influenza di M. Klein, che aveva iniziato a seguire
bambini psicotici negli anni '20. Progressivamente il termine di
schizofrenia viene sostituito da quello di psicosi, quando ci si
riferisce all'età infantile, in quanto un concetto più
moderno di schizofrenia presuppone un'organizzazione psichica ed
una capacità di comunicazione verbale sufficientemente sviluppate,
le stesse che sostengono sintomi "complessi", quali i
deliri e le allucinazioni. Concetti che cambieranno il panorama
culturale in cui vengono inquadrati e compresi disturbi tipici dell'età
evolutiva si affermano grazie ai lavori di L. Kanner (1943), che
descrive l'autismo infantile precoce, e di M. Mahler (1952), che
descrive la psicosi simbiotica. La conseguenza trasformativa dei
contributi teorici e clinici di questi autori consiste nel fatto
che a partire da allora, pur mantenendo una netta distinzione tra
psicosi e insufficienze mentali, vengono classificate tra le psicosi
infantili anche condizioni che gli psichiatri classici avrebbero
considerato encefalopatie evolutive, ritardi mentali o pseudoschizofrenie.
Come problema successivo si porrà quello di non dilatare
eccessivamente il concetto di psicosi, ma di mantenerlo entro criteri
descrittivi coerenti.
Demenza, schizofrenia... DSM-III-R
A distanza di oltre mezzo secolo dai lavori di Kanner, l'autismo
infantile rimane la sola sindrome quasi unanimemente riconosciuta.
Per il resto permane una notevole varietà terminologica,
che spesso si riferisce a realtà cliniche identiche o molto
simili e che esprime i presupposti teorici sottesi alle diverse
classificazioni. Nel 1987 l'APA, Associazione Psichiatrica Americana,
pubblica la terza versione revisionata del Manuale diagnostico e
statistico di psichiatria; nell'ambito dell'Asse II rientrano i
Disturbi dello Sviluppo, distinti in Ritardo Mentale.
Disturbi Generalizzati e Specifici
I Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DGS), caratterizzati da
insufficienza qualitativa nello sviluppo della interazione sociale
reciproca, delle capacità di comunicazione verbale e non
verbale e dell'attività immaginativa, comprendono il Disturbo
Autistico ed il DGS Non Altrimenti Specificato, che, con la Schizofrenia
ed i Disturbi Schizotipico e Schizoide di personalità costituiscono
ciò che comunemente viene indicato come "psicosi infantili".
Il termine DGS ha però suscitato molte critiche nel panorama
scientifico internazionale. Per esempio il lavoro di Volkmar, Bregman
et al. (1988) e quello di Hertzig, Snow, et al. (1990) sottolineano
come nel DSM-III-R sia stato ampliato il concetto di autismo rispetto
ai criteri presenti nel DSM-III, includendo nella categoria Disturbo
Autistico dal 35 al 50% dei pazienti non classificati come autistici
in precedenza. Gillberg invece (1990-1991) contesta radicalmente
il concetto stesso di DGS, in quanto esso non si riferisce alla
totalità dei disturbi generalizzati (per esempio non include
il ritardo mentale, che va indicato come diagnosi aggiuntiva) ed
anche il termine "generalizzato" non è sempre appropriato.
In molti casi il disturbo è infatti parziale e specifico
e vi sono altre patologie (v. ritardo mentale grave), che includono
un disturbo più invalidante; al contrario, per esempio nella
sindrome di Asperger la compromissione dello sviluppo è specifica
e limitata all'area sociorelazionale. Questo sistema di classificazione
riporta alcune condizioni patologiche, spesso associate, che svolgono
il ruolo di fattori predisponenti, accanto a generiche "condizioni
pre- peri- post-natali, che causano disfunzioni cerebrali",
sono elencati in associazione al disturbo Autistico: "rosolia
materna, fenilchetonuria non trattata, sclerosi tuberosa, anossia
alla nascita, encefalite, spasticità infantile, sindrome
dell'X fragile". È altresì precisato che la complicanza
principale è rappresentata dalla comparsa di convulsioni
epilettiche, soprattutto nei soggetti con QI < a 50.
L'ICD-10
Nella sezione F80-89 (Sindromi e disturbi da alterato sviluppo
psicologico) della X revisione della Classificazione Internazionale
delle Sindromi e dei Disturbi Psichici e Comportamentali curata
dall'OMS (1992) sono comprese (F84) le Sindromi da alterazione globale
dello sviluppo psicologico, quali l'autismo infantile e la sindrome
disintegrativa dell'infanzia di altro tipo (condizione che include
la psicosi simbiotica), unitamente ad altri quadri, quali le sindromi
di Rett e di Asperger (che include il disturbo schizoide infantile),
la sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati,
Altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico
e la Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo
psicologico, sul cui significato clinico il parere dei ricercatori
è discorde. Anche in questo caso, le sindromi vengono descritte
in termini di comportamento, tenendo conto delle anomalie qualitative
delle interazioni sociali e delle modalità di comunicazione,
anche quando vi sono associate condizioni di interesse medico, quali,
per ricordare solo le più frequenti, la rosolia congenita,
la sclerosi tuberosa, la lipidosi cerebrale e l'anomalia del cromosoma
X fragile. Il ritardo mentale a sua volta, quando presente, viene
codificato a parte.
Il DSM-IV
Nel DSM-III-R veniva precisato che "sebbene alcuni dei primi
ricercatori suggerissero che questi disturbi (DGS) avrebbero continuazione
nelle psicosi adulte (per esempio la schizofrenia), le ricerche
più importanti indicano oggi che essi non hanno rapporto
con le psicosi adulte". Il DSM-IV (1994) giustifica la creazione
di una sezione specifica per i disturbi dell'Infanzia, della Fanciullezza
e dell'Adolescenza solo per motivi di praticità, senza che
essa implichi "l'esistenza di alcuna chiara distinzione tra
i disturbi della fanciullezza e dell'età adulta". A
ulteriore dimostrazione di quanto controverso sia ancora questo
punto, in un'altra sezione del Manuale, gli autori aggiungono, in
maniera più sfumata rispetto all'affermazione contenuta nel
DSM-III-R: "sebbene termini come psicosi e schizofrenia infantile
siano stati usati in passato in riferimento ai soggetti affetti
da queste condizioni, vi sono considerevoli prove a favore dell'opinione
che i DGS siano diversi dalla Schizofrenia (per quanto un soggetto
con un DGS possa occasionalmente sviluppare in seguito una Schizofrenia)".
Anche in questa Edizione viene precisato che i DGS possono essere
associati a condizioni mediche generali (anomalie cromosomiche,
infezioni congenite, anomalie strutturali del SNC) che, se presenti,
devono essere codificati sull'Asse III. I Disturbi Generalizzati
dello Sviluppo sono meglio distinti in diversi quadri clinici: Disturbo
Autistico, Disturbo di Rett, Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza,
Disturbo di Asperger e Disturbo generalizzato dello Sviluppo NAS.
È precisata anche la loro corrispondenza con le patologie
raggruppate nell'analoga sezione dell'ICD-X, condizione questa che
renderà più agevole comparare ricerche che utilizzano
classificazioni diagnostiche diverse. Molto ridotto rispetto al
DSM-III-R è il numero di casi che può essere diagnosticato
come DGS NAS e si limita a quei "quadri che non soddisfano
i criteri per il Disturbo Autistico per l'età tardiva di
insorgenza, la sintomatologia atipica o subliminare o per tutti
questi motivi insieme".
La Classificazione Operazionale
La Classificazione Operazionale (Manzano, Palacio-Espasa, 1983)
è nata nel contesto scientifico o teorico della scuola ginevrina,
contrassegnata da un'impronta di tipi psicoanalitico e da una focalizzazione
sull'importanza del trattamento psicoterapeutico ed educativo nell'ambito
dei Centri Diurni. La Classificazione è stata concepita sulla
base di un importante studio longitudinale (1982). Strumento cardine
delle operazioni diagnostiche è la griglia concettuale evolutiva,
che consente "descrizioni cliniche e diagnostiche che vanno
al di là dei criteri fenomenologici e statistici", attraverso
un'analisi strutturale psicoanalitica che tiene conto delle possibilità
di cambiamento delle strutture di personalità e dei fattori
che le determinano. I quadri nosografici delineati comprendono:
autismo primario, autismo secondario, psicosi simbiotica, psicosi
precocemente deficitaria, psicosi disorganizzatrice. L'autismo primario
rimanda al quadro descritto da Kanner, mentre l'autismo secondario
è un ibrido tra manifestazioni di tipo autistico, simbiotico
e deficitario, insorte intorno al primo semestre del secondo anno
di vita in seguito ad una separazione. La psicosi simbiotica è
sovrapponibile all'entità clinica descritta dalla Mahler.
La psicosi precocemente deficitaria viene descritta come una delle
possibili evoluzioni dell'autismo primario, in cui si verifica un'attenuazione
del ritiro a favore di un aggravarsi del ritardo psicomotorio, dell'intelligenza
e del linguaggio. La psicosi disorganizzatrice è un quadro
clinico, il cui atteggiamento generale colpisce per la sua disorganizzazione,
caratterizzato da un certo sviluppo delle funzioni dell'Io e sovrapponibile
alla schizofrenia infantile descritta dalla Bender (1973) ed a certi
casi di psicosi simbiotica della Mahler (1952). Gli autori sostengono
la sostanziale unità del concetto di psicosi infantile definita
fenomenologicamente come una sindrome clinica caratterizzata da
una deviazione notevole in una o più delle seguenti aree:
rapporto con le persone e l'ambiente, armonicità della maturazione
emozionale e delle funzioni dell'Io (percezione, motricità,
linguaggio, capacità cognitive), e integrazione di questi
elementi in una unità funzionale capace di consolidare un
senso d'identità personale. L'attribuzione del quadro di
ciascun paziente ad una delle categorie nosografiche proposte viene
attuata in base al tipo di funzionamento mentale predominante in
un dato momento ed è suscettibile di trasformazione. Gli
autori sottolineano come la loro Classificazione permetta di stabilire
una diagnosi clinica relativamente semplice e come centrale sia
considerare il concatenarsi dinamico di ciascuno degli aspetti strutturali
e comportamentali del bambino, onde favorire interventi terapeutici
appropriati. La Classificazione di Manzano e Palacio-Espasa è
sicuramente la più specifica per quanto riguarda la definizione
in senso psicodinamico di ciascun caso, in quanto permette di approfondire
le modalità e la qualità del funzionamento del paziente
sia in senso intrapsichico che relazionale.
La Classificazione Francese CFTMEA
Si tratta di un sistema di inquadramento nosologico realizzato
da un gruppo di ricerca eterogeneo per orientamento teorico e formazione
scientifica dei suoi componenti, coordinato da Misès, di
esso facevano parte la Commissione delle Malattie Mentali del Ministero
della Sanità, l'Unità di Ricerca INSERM e l'Associazione
francese degli psichiatri del servizio pubblico. La Classificazione
Francese dei Disturbi Mentali del Bambino e dell'Adolescente (CFTMEA,
Misès et Jeammet, 1988) è una classificazione biassiale
con allegato un glossario, in cui l'asse I comprende le categorie
cliniche di base, l'asse II riguarda invece fattori associati antecedenti
ed eventualmente eziologici; il glossario annovera le definizioni
ed i criteri di inclusione ed esclusione, che agevolano le diagnosi
differenziali. Tale classificazione è basata su criteri psicopatologici
ed offre il vantaggio di essere facilmente utilizzabile nel lavoro
clinico. Dai primi studi catamnestici degli anni '50 sull'evoluzione
di "bambini difficili" emergeva che i sintomi in sé
avevano solo un valore contingente, mentre era necessario approfondire
il loro significato, per poter trarre conclusioni di significato
prognostico attendibile. La commissione impegnata ad elaborare questo
sistema diagnostico ha quindi cercato di tener conto di alcune caratteristiche
delle condizioni codificate, quali mobilità o fissità
dei disturbi e natura dei rimaneggiamenti in termini di struttura
della personalità per precisare il rischio di evoluzione
verso una patologia mentale dell'età adulta. La CFTMEA è
risultata essere di più difficile applicazione in due fasce
di età. La prima riguarda i bambini di età compresa
tra o e 5 anni: sono i più difficili da indagare e se hanno
pochi mesi è necessario esprimersi in termini di disturbo
dell'interazione madre-bambino e la prospettiva, diagnostica va
incentrata sulla diade madre-bambino. La seconda riguarda l'adolescenza,
periodo in cui è controverso se sia più corretto utilizzare
le categorie proprie dell'infanzia o dell'età adulta. Gli
scopi della CFTMEA possono essere riassunti nel depistaggio e nella
valutazione del rischio patogeno di un dato quadro clinico, nel
trattamento del medesimo e nel tentativo di eliminare i falsi negativi.
Per entrare più nel dettaglio di tale classificazione, l'asse
I riconosce nuovi gruppi di disturbi mentali, il primo dei quali
comprende le psicosi, a loro volta suddivise in otto categorie:
Autismo precoce tipo Kanner, altre forme di autismo infantile, psicosi
deficitarie, disarmonie psicotiche, psicosi di tipo schizofrenico
dell'infanzia, psicosi di tipo schizofrenico dell'adolescenza, psicosi
distimiche e psicosi acute. Questa Classificazione, prevedendo un
asse relativo a fattori associati o antecedenti eventualmente eziologici,
fornisce la possibilità di prendere in considerazione la
presenza di patologie organiche o fattori di rischio relativi al
contesto sociofamiliare. In conclusione, mi limito a due semplici
osservazioni. ben quattro su cinque classificazioni utilizzate a
livello internazionale riportano un elenco di malattie organiche
spesso associate e/o ritenute concausa di quadri clinici d'interesse
psichiatrico, a testimonianza di come sia ormai comunemente ritenuto
embricato il confine tra psichico e somatico. Infine appare netta
la distinzione tra i presupposti psicopatologici e clinici che informano
le classificazioni anglosassoni e francofone, condizione quest'ultima
che fa auspicare una loro integrazione, possibile presupposto per
un intervento terapeutico integrato.
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